Intervista ad Alessandro Quarta, apre stasera l’Orvieto Festival della Piana del Cavaliere

Alessandro Quarta compositore e violinista aprirà la settima edizione dell’Orvieto Festival della Piana del Cavaliere, stasera, venerdì 8 settembre al Teatro Mancinelli con il concerto Danzando nel Bosco, in collaborazione con Umbria Green Festival. Con lui il pianista Giuseppe Magagnino dell’ormai acclamato Alessandro Quarta 5et, pianista e musicista dalle grandi qualità interpretative e il quintetto d’archi ARTeM.
– L’Umbria è il cuore verde Italia e tu hai titolato il tuo concerto Danzando nel bosco, creando un’associazione mentale tra Umbria, verde e bosco. Ma come si realizza questa danza?
La musica – risponde Alessandro Quarta – nasce dalla danza, dagli antichi greci fino al ’600, fino al Barocco, era tutta danza e anche i tempi della musica erano danza, sarabanda. Io danzo quando suono e le note danzano tra di loro. Per me l’Umbria è il polmone d’Italia non perché sia veramente al centro, ma perché è talmente verde che è veramente un polmone inesauribile. C’è questa originalità che non si è persa, c’è questa ricchezza di originalità e questo verde, questa semplicità. Quindi per me l’Umbria è tutto bosco, allora il mio progetto No Limits è diventato per l’occasione Danzando nel bosco’.
– Passi agevolmente da Vivaldi a Chick Corea, da Nino Rota ad Astor Piazzolla, ma qual è il fil rouge che lega autori così diversi e così distanti nel tempo?
Nella pittura si usano tutti i colori e non è che se ne studia uno e tu per tutta la vita utilizzi solo quello o quelli che hai studiato. Così per la musica. Per me non esiste l’etichetta, per me non esistono classica, jazz, pop e rock. Esiste emozione, esiste una musica, ovviamente devi essere preparato per affrontare delle difficoltà stilistiche, pluristilistiche, ma se hai capacità, se hai professionalità e se hai soprattutto cultura ed esperienza, perché limitarsi? A me piace la musica, la vedo come emozione e quindi di conseguenza la sfrutto sui palchi sino agli estremi.
– Etere è il tuo nuovo progetto scritto per Roberto Bolle (torna il tema della danza), presentato in anteprima in vari prestigiosi contesti, dalle Terme di Caracalla all’Arena di Verona. Forse l’etere e quell’elemento che più si addice alla musica, al suono che infine si disperde nell’etere nel suo eterno hic et nunc
Etere è l’ultimo evento del mio progetto sui 5 elementi che verrà presentato in prima mondiale a Cremona il 30 settembre. Quando lo stavo scrivendo, Roberto (Bollen.d.r.) mi chiamò e mi disse che dopo il Dorian Grey, dovevo comporre per lui un altro brano. In quel momento stavo scrivendo, avevo appena finito l’aria e dovevo scrivere del fuoco e mi son fermato e mi sono detto, sai cosa gli dedicherò? Etere che è la perfezione, la bellezza, elemento che per i greci era l’unione di tutti gli altri quattro elementi. Così è nato Etere, vedendolo veramente come una danza.
– Il violino è strumento di matrice classica, poco frequentato negli ambiti pop, rock e jazz. Quali qualità sono necessarie per fare di un violino uno strumento rock jazz?
Io in realtà il violino l’ho portato da dove è nato. Il violino è nato dalla strada, è nato per servire il tempo delle persone, nato per suonare nei pub del 1400 e 1500. Poi è stato preso in prestito dagli autori classici, quindi da Monteverdi, Vivaldi, eccetera e fu introdotto nelle chiese fino a che fu collocato in un ambito classico molto ristretto, etichettandogli addosso un frac che non gli si addice proprio. Ecco, quindi ho riportato il violino verso la massa, l’ho riportato nell’ambito della sua vera originalità, cioè uno strumento, punto e basta. Non lo strumento classico.
– Oltre al tuo quintetto, forse il tuo contesto ideale è il duo… 
Con Giuseppe Magnino è come fossimo un tutt’uno. Giuseppe è musicalmente perfetto, riesce sempre a capire dove sto andando, anche se io non so dove sto. E’ uno dei migliori jazzisti italiani attualmente e ormai sono 15 anni che lavoro con lui.
– Interpretazione, improvvisazione. Tu provieni da una formazione classica, quindi interpretativa, ma qual è la qualità per diventare un buon improvvisatore?
Non so, dopo gli studi classici sono andato ad esplorare altri mondi. Interpretazione e improvvisazione? Sono due cose complementari: l’una ha bisogno dell’altra e viceversa. Oggi si parla tanto di jazz, ma già nel ’600 e nel ’700 si improvvisava, quindi non c’è stato niente di nuovo. Mi aiuta tantissimo anche la composizione, perché in quel momento, quando tu improvvisi componi e devi anche interpretare e devi anche creare una storia. E’ filologia musicale che segue anche una certa logica.
– La composizione, ovvero altro tuo ambito di sperimentazione. Come cambia l’approccio alla musica con la composizione?
La differenza che trovo tra una composizione strumentale e una canzone è quella che nella canzone le parole ci aiutano a capire anche il senso e a vedere un senso oggettivo del brano. Quindi anche vedere un’immagine oggettiva: pur parlando di una emotività soggettiva, l’immagine rimane oggettiva. La musica strumentale, invece, è priva di oggettività, a meno che il compositore non abbia quella forza compositiva da impregnare il pubblico della propria oggettività. Questa è una delle cose più difficile che esista. Però ovviamente diciamo che i nostri grandi compositori del Settecento e Ottocento, ma soprattutto anche del Novecento, da Shostakovich a Stravinskij, ci hanno insegnato che cosa significa vedere un quadro. Mi piace sentirmi un pittore.

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