La caduta del muro: quando Martin Luther King al Festival di Berlino nel 1964 prese a riferimento il jazz come lotta all'oppressione

PERUGIA –  Il jazz è patrimonio planetario, si suona con diversi “accenti” in tutte le latitudini ed è ormai riconosciuto come un codice musicale, un linguaggio condiviso, ma anche un grande “contenitore” in cui diventano, le une complementari alle altre, diversi influenze, espressioni, generi, stili. Ma il jazz oltre ad essere tutto questo, sfugge ad ogni definizione che lo vorrebbe racchiudere in una “gabbia” di senso. Non sono le parole che possono spiegare il jazz, perché ha in sé un’anima che annette tutto, un’arte sfuggente al di là del colore della pelle, delle ideologie, delle barriere, dei confini. Non poteva pertanto non essere preso a riferimento là dove la barriera per eccellenza che gli uomini avevano creato, quella tra Berlino Ovest e Berlino Est, era stata alzata per dividere e differenziare in base alla spartizione che avevano stabilito le grandi potenze al termine del secondo conflitto mondiale. Il jazz che per l’appunto in sé racchiude quell’anelito di libertà contro ogni oppressione, libero dalle catene siano esse quelle degli schiavi africani che quelle ideologiche-politiche e geopolitiche, ebbe un ruolo decisivo negli Stati Uniti degli anni Sessanta e Settanta nella lotta alla segregazione razziale e nell’affermazione di un’identità afroamericana libera da pregiudizi. Quando Martin Luther King, nel pieno della sua battaglia perché si potessero stabilire i paradigmi di una società dei diritti al di là del colore della pelle, della provenienza e dei credo degli individui, fu invitato nel 1964 al Berlino Festival jazz, gli fu sottratto il passaporto nel tentativo di bloccarlo al Checkpoint Charlie, la linea di divisione tra le due Berlino, ma non ci riuscirono. I militari non ebbero il coraggio di fermarlo, tanta e tale era la forza dei suoi ideali che oltrepassava ogni barriera. Martin Luther King aprì il festival jazz della città, tenne una funzione commemorativa per John F. Kennedy alla Philharmonic Hall, fece un sermone per più di 20.000 berlinesi in un arena all’aperto e gli fu conferita la laurea honoris causa dalla Facoltà Teologica della Chiesa protestante. Ma ciò che è rimasto nella storia e che oggi ricordiamo in occasione del trentesimo anniversario della caduta del muro, è il suo discorso appassionato che prese a riferimento il jazz come chiave di lettura per l’affermazione dei diritti umani e contro la segregazione razziale, proprio nel momento in cui il jazz andava assumendo anche una forte valenza politica per imprimere una svolta alla condizione sociale degli afroamericani.
“Dio dall’oppressione – disse Martin Luther King – ha dato vita a molte cose. Egli ha dotato le sue creature della capacità di creare e da questa capacità sono sgorgate le dolci canzoni di sofferenza e gioia che hanno permesso all’uomo di far fronte a contesti ambientali e situazioni molto diverse
Il Jazz parla di vita. Il Blues parla delle difficoltà della vita, e se ti fermi a riflettere un momento, capirai che prende le più dure realtà della vita e le mette in musica, così da poterne trarre nuova speranza e senso di trionfo.
Questa è musica trionfante.
Il Jazz moderno prosegue in questa tradizione, cantando le canzoni di una più complicata esistenza urbana. Quando la vita stessa non ti offre ordine o significato alcuno, il musicista crea un ordine e un significato dai suoni della terra che scorrono nel suo strumento.
Non c’è da meravigliarsi che gran parte della ricerca di un’identità tra gli afro-americani sia stata sostenuta da musicisti jazz. Molto prima che moderni saggisti e studiosi scrivessero di identità razziale come di un problema per un mondo multi-razziale, i musicisti erano tornati alle loro radici per esprimere quello che si agitava nella loro anima.
Molta della potenza del nostro Freedom Movement negli Stati Uniti è nato da questa musica. Essa ci ha rafforzato con i suoi ritmi dolci quando il coraggio cominciava a venir meno. Ci ha calmato con le sue ricche armonie quando lo spirito era abbattuto.
E ora il Jazz si esporta in tutto il mondo. Poiché proprio nella lotta del nero in America c’è qualcosa di affine alla lotta universale dell’uomo moderno. Tutti hanno i “Blues” (momenti di sconforto). Tutti cercano un senso. Tutti hanno bisogno di amare ed essere amati. Tutti hanno bisogno di batter le mani ed esser felici. Tutti desiderano la fede.
E nella musica, e in particolare in questa categoria detta Jazz, c’è un punto di partenza per tutte queste cose”.

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