La Croce Sagomata: un unicum dalla Collegiata di Matterella al Museo diocesano di Spoleto

FERENTILLO – La Croce Sagomata o Azzurra un tempo esposta nella chiesa Collegiata di Santa Maria di Matterella  successivamente, sistemata nella casa parrocchiale ma, per motivi di sicurezza, trasferita al Museo diocesano di Spoleto negli anni ’70.

Museo diocesano di Spoleto, Croce Sagomata, dipinto su tavola

E’ un pezzo unico. Fa parte della tipologia delle Croci Azzurre una espressione religioso – popolare di tipo tradizionale del territorio spoletino a cavallo tra il XIII – XIV (XV?) secolo. Questa, però di incerta datazione, per analogie stilistiche, riferibile alla fine del XIV secolo,  ma ciò non toglie che potrebbe essere  riconducibile alla prima metà del 1400. In essa e’ rappresentato il Cristo Crocifisso con le palpebre socchiuse nella serenità della morte, ai fianchi la Madre e l’ Evangelista Giovanni ( Maddalena?) in atteggiamento di dolore composto espresso dal movimento delle mani.

Croce Sagomata, il volto di Cristo

Alle due estremità della linea della croce,  in orizzontale, a sinistra e destra nelle formelle laterali due angeli raccolgono in un calice il sangue che fuoriesce dalle mani inchiodate del Cristo. In alto Dio Padre benedicente con la mano destra e con la sinistra sorregge il libro dei Vangeli aperto.

 

 

Il Cartaio conta scritta JESUS NAZARENUS REX JUDEARUM sopra l’aureola che circonda la testa del Figlio priva della corona di spine. In origine il pezzo era correlato da due angeli lignei cromatici e genuflessi che sorreggevano due candelieri  disposti su piccole mensole. Non si può affermare con esattezza chi sia l’autore di quest’opera  la critica l’attribuisce al “maestro della Croce di Ferentillo” un anonimo post giottesco riconducibile forse al cosiddetto “maestro di Cesi”. Parallelamente ad altre croci sagomate o la pala di Ponte a Cerreto o il dossale del 1308 a Cesi. Al museo diocesano altre croci dipinte provenienti da varie chiese del territorio della Valnerina. Ma la croce di Ferentillo, e un pezzo particolarissimo. Gli agiografia non azzardano molto sulla provenienza da Spoleto: ” la fisionomia dell artista esecutore, letta attraverso l’opera e quella di un Umbro  che aggiorna il suo iconico arcaismo, consapevole anche di forme cavalliniana  con una lettura acerba, ma appassionata di Giotto. Questo maestro, non ebbe un grande seguito in quella che sarà la nuova pittura in Umbria. Soltanto alla fine del secolo verrà ripreso quello stile. Nel nostro pezzo, i volti, lo stile, il drappeggio dei tessuti che avvolgono i personaggi posti ai lati  rendono nell’ insieme un apparente opera compiuta e armoniosa in contrasto con il colore ancora tenue che caratterizza, in parte, le linee anatomiche del corpo di Cristo assai marcate con gli arti inferiori leggermente spostati verso destra. Tuttavia  la staticita’ dei volumi, in analogia con varie opere coeve, si contraddistingue, in questo caso, dalla successione delle figure che circondano quella centrale, confortando la drammaticità del soggetto, con i piccoli spiragli di movimentata vitalita’, che si perde, però, nella sproporzione esagerata del nero chiodo che trafigge i piedi del Cristo. Le due figure al lato del Crocefisso, personaggi simbolo presenti in tutte le raffigurazioni del genere, sotto certi aspetti, danno vitalità alla drammaticità del soggetto e movimento della staticità dell’insieme. Infatti le due figure sembrano (ma non lo sono) essere state realizzate in una seconda fase vista la diversità dei volumi e delle linee. Figure che si ritagliano in un insieme di linee e forme ancora arcaiche a differenza invece del movimento del drappeggio e delle espressioni addolcite, evidenziate dai gesti delle mani e dalle espressività del viso. Poste ai lati, si evidenziano per la loro espressività gestuale: le mani al volto in segno di disperazione, lo sguardo assente accenna l’emozione dell’attimo che sfugge agli occhi, consapevole della Resurrezione dell’ Uomo Crocifisso seppur morto. I capelli raccolti, contornati dall’ aureola, mentre il drappeggio, evidenzia i movimenti degli arti celati dai vestiti, dando al corpo un senso di elevazione proteso verso l’alto. L’ azione, accentuata dalle mano quasi a chiedere di nuovo il perdono, sono mezzo di esternazione del profondo dolore che le pervade, come se, avendo conosciuto il Nazzareno in vita, non  riuscissero a convincersi sul perché della grave condanna che gli uomini hanno sferrato al Redentore. I volti dei due personaggi, espressivo quello della Madre, e’ evidenziato dalla luminosita’ dell’ aureola, leggermente protesa verso il Crocifisso; accende una sorta di dialogo, seppur apparente ma efficace, irrompendo la staticità cromatica, nell’ insieme della rappresentazione. Da queste figure, l’autore accenna ad una velata e azzardata novità: uscire dallo schematismo che lo ha sempre legato a quelle linee arcaiche del genere pittorico dell’ epoca, proiettandosi, forse inconsapevolmente, in nuovi orizzonti, anche se nel suo percorso artistico, seppur breve, vari sono stati i tentativi di perfezionamento stilistico. Fin qui il nostro approfondimento. (Ferentillo Segreta storia di un principato pag 140/141/142).

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