La notte, la foresta, la natura. Poi gli strumenti: questo è l’ “Habitat” della musica di Alessandro Giammari

È uscito Habitat, il primo singolo del musicista ternano Alessandro Giammari. Si tratta di un debutto…sperimentale!

Habitat nasce a conclusione del percorso di studi presso il Conservatorio dell’Aquila in biennio jazz, ma finisce per essere qualcosa di molto di più. Giusto?

«Giusto! Il brano aveva l’intenzione di essere eseguito nel contesto della tesi ed era stato pensato e concepito per essere suonato in un certo modo, ma dopo la decisione di volerlo incidere è ovvio che la struttura del brano ha subìto variazioni. L’ho rimodellato con un preciso lavoro di post produzione, piuttosto che di esecuzione live. Anziché quindi creare dei loop vocali dal vivo, ho lavorato su delle stratificazioni vocali. È sicuramente diventato qualcos’altro».

 

Il tuo brano Habitat sembra volerci dire qualcosa. Qual è l’idea dietro?

«Ho cercato di evocare un’ambientazione naturale: mi sono immaginato un paesaggio sonoro, e ho cercato di riprodurre tutti i suoni che questo paesaggio poteva evocare.

Attraverso la musica ho seguito un flusso libero che potesse esprimersi al di fuori degli schemi. Difatti soprattutto nella prima parte, ho cercato di abbandonami ad un mood di sperimentazione.

Ho cercato di utilizzare il canto armonico insieme ad altre tecniche per creare una sorta di scenario. Nella prima fase ho ipotizzato di trovarmi di notte in mezzo ad una foresta. Questa è l’immagine chiave su cui ho costruito poi tutto il brano».

 

Durante l’ascolto notiamo l’intreccio e il susseguirsi di stili diversi e complessi, si potrebbe identificare il brano con un genere preciso?

«Potrebbe ricondursi al jazz contemporaneo, alla musica sperimentale. È come se avessi deciso di intraprendere un viaggio musicale e ho cercato di riprodurre quest’esperienza.

Difatti l’obiettivo del brano non è commerciale, vuole rappresentare un qualcosa di diverso, di sperimentale all’interno della musica».

 

Qual è stato l’approccio utilizzato?

«Ho sfruttato diverse tecniche, ecco perché parlo di sperimentazione (soprattutto vocale). Ho utilizzato delle tecniche diverse da quelle canoniche, tra cui il canto armonico.

L’obiettivo era quello di vivere la musica in maniera più attiva, facendo un vero e proprio viaggio tramite gli strumenti».

 

 

Habitat si suddivide in più parti, come le descriveresti?

«Sì, il brano si articola in tre parti: nella prima con la voce cerco di rappresentare la natura, il mare, i suoni degli animali, i suoni della notte, insomma una sorta di tappeto musicale in cui i suoni della natura lasciano spazio al canto armonico, alla musica arcaica. Era il mio modo di rappresentare l’essere umano che arriva.

Attraverso una continua evoluzione musicale si arriva poi ad una fase più distesa, quella finale, in cui entrano gli strumenti. L’evoluzione porta ad una socialità: si parte dal singolo uomo fino ad arrivare ad un aggregarsi di persone che parlano un linguaggio comune, come un mantra su uno schema Scat, jazzistico.

Una ripetizione musicale che vede crescere gli strumenti battuta dopo battuta, fino ad arrivare ad una modifica sull’armonizzazione.

Ho cercato di mantenere un elemento narrativo totale focalizzato sulla sensazione, sul paesaggio sonoro attraverso gli strumenti e la voce, piuttosto che andare a mettere in evidenza un linguaggio specifico e in qualche modo limitato alla lingua che si parla. Ho cercato quindi di creare un ambiente universale tramite il sonoro».

 

 

Quali sono state le tue maggiori ispirazioni?

«L’artista di riferimento è stato sicuramente Theo Bleckmann artista eclettico contemporaneo su cui ho fatto la tesi. Sono anche riuscito a scambiarci qualche parola, ho avuto il piacere di conoscerlo di persona. Attraverso lui poi ho scoperto Meredith Monk, artista autrice di brani all’avanguardia in questo ambito sperimentale.

Prima di andare a comporre il brano ho fatto un bel percorso di ascolto.

Quando sono entro al conservatorio, non conoscevo questa musica. Mi ci sono appassionato nel percorso finale degli studi. Tutto su suggerimento del mio insegnante di canto che mi ha fatto conoscere un ventaglio di artisti che propendono a questo filone di jazz sperimentale. Il mio ascolto è sicuramente cambiato»

 

Habitat farà parte di un progetto più grande? Quali saranno le tue prossime mosse?

«Nasce quindi come singolo pezzo, però l’idea è quella di fare un lavoro più grande. Questo sarà il primo tassello. Sto già lavorando ad altro.

La mia prospettiva è quella di continuare a creare questa tipologia di musica. Mi piacerebbe comunque mantenere sempre la capacità di sperimentare, qualsiasi cosa vada poi a fare. Mi interessa principalmente questo, scoprire la musica, presentarla anche all’estero perché no.

Mi piacerebbe concretizzare le mie creazioni, concludere in qualche modo le mie sperimentazioni.

Il lavoro è stato fatto in parte da solo e in parte presso lo studio Sinusoide di Marco Testa, che vorrei ringraziare. Con l’occasione vorrei anche estendere i miei ringraziamenti a Fabio D’Isanto per le percussioni e batteria, Lorenzo Agnifili  per l’organo e il Rhodes, Massimo Colabella per la chitarra elettrica e Alessandro Bossi per il  basso elettrico».

 

Habitat, il nuovo singolo firmato Alessandro Giammari è disponibile ora su tutte le piattaforme streaming.

 

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