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L’incerta verità di Raised by Wolves sul canale Atlantic di Sky

PERUGIA – Recensiamo da spettatori, e da spettatori abbiamo visto metà episodi (quelli usciti al momenti di scrivere) su Atlantic, il canale delle serie di qualità della piattaforma Sky. E ne parliamo senza avere visto il finale di stagione né tanto meno la seconda serie in corso di produzione. Questa è quindi una recensione interrogativa, esplorativa, interlocutoria, per mettere in grado il lettore di decidere se la serie fa per lui/lei. Se sarà il caso ci rivedremo su questo schermo (quello del vostro computer) per una considerazione finale e, allora sì, potremo giudicare, valutare, dare i voti.

Raised by Wolves – Una nuova umanità è una serie fantascientifica HBO (quelli del Trono di Spade, una vera potenza di fuoco), che vede Ridley Scott (Brade Runner basta e avanza per consacrarlo per sempre fra gli immortali del cinema, specie di fantascienza) co-produttore esecutivo nonché regista dei primi due episodi. Regia (Scott a parte) buona, sceneggiatura buona, fotografia buona. Attori buoni con la protagonista Amanda Collin una spanna sopra gli altri. Storia avvincente. Non vale ancora la pena usare aggettivi diversi; per ora è tutto “buono”, ben confezionato come ovviamente la grande produzione statunitense sa fare, con tutti i tempi giusti, gli effetti speciali al tempo dovuto, e insomma: da vedere assolutamente se siete amanti della fantascienza, ma in generale da vedere come un qualunque buon prodotto cinematografico.

Ma ci sono due cose che balzano agli occhi e che vogliamo segnalare, la prima negativa e la seconda da decidere, potrebbe essere il punto di forza della serie oppure il punto debole che la farà crollare.

Il primo elemento, che riguarda la concezione della storia e la successiva sceneggiatura, è l’antefatto, quello che dà l’avvio agli eventi narrati; non incorriamo nel peccato mortale dello spoiler perché quanto vi stiamo per dire è racchiuso tutto nella prima metà del primo episodio. Nel prossimo futuro – circa 120 anni in avanti – la Terra è morente in seguito a un furioso conflitto globale fra gli umani mitriaci, aderenti cioè alla fanatica religione dedicata al dio Sol, e gli atei, non altrimenti specificati. Ormai il pianeta è decimato e i superstiti mitriaci fuggono per cercare una nuova patria nel remoto pianeta Kepler 22b. In quello stesso pianeta arrivano, separatamente, due androidi con una piccola scorta di embrioni umani, e con la missione di far crescere piccoli umani atei. Da qui in poi lo sviluppo della vicenda sulla quale, ovviamente, non diremo nulla. Ebbene, questa premessa è insostenibile; possiamo pensare ai peggiori scenari apocalittici dell’immediato futuro umano (120 anni sono “immediato futuro”), e a guerre colossali e distruttive di molteplici tipi e per diverse ragioni, ma non, assolutamente non, una guerra all’ultimo sangue fra un nuovo culto e degli incomprensibili atei; e bisogna dire che entrambe le fazioni sono tratteggiate (sempre brevemente) in modo stereotipato e macchiettistico.

Qualunque film, tanto più di fantascienza, impone allo spettatore l’accettazione degli a-priori implicati: in un film su Superman devo preliminarmente accettare il fatto che, in questa sorta di universo parallelo che è il cinema, esista un individuo dotato di superpoteri; ci si lascia andare al flusso immaginativo a partire da tale accettazione preliminare (oppure, nel Signore degli Anelli, si accetta l’esistenza di un mondo fantastico popolato da hobbit, maghi, Sauron eccetera). Qui è diverso: la premessa è che siamo sul pianeta Terra, che stiamo vedendo degli esseri umani, semplicemente immaginati in una situazione futura: ma la psiche umana, l’antropologia umana, le dinamiche sociali umane, possono indubbiamente evolvere ma entro determinati canoni e con certi limiti, e onestamente questa guerra fra invasati settari e invasati atei convince pochissimo.

Il secondo elemento, invece, lo forniamo in termini aperti, non critici, sperando che evolva positivamente (se supportata da robusta sceneggiatura); ed è l’ambiguità corrente. I personaggi buoni si rivelano ostili, poi di nuovo buoni, poi ambigui; i fanatici religiosi sono dei poveracci, poi degli ottusi che recitano stupide preghiere che li dovrebbero proteggere dalle pallottole, poi delle persone buone; gli atei non si capisce perché combattano, poi si infiltrano e fanno loro alcune attitudini dei religiosi; il pianeta è disabitato, ma forse no… Onestamente è uno sfinimento che gioca sul continuo mutare delle impressioni che via via lo spettatore si fa. Naturalmente c’è un lato di consapevole furbizia in questi stilemi non nuovi della cinematografia contemporanea, ma l’ambiguità deve avere uno scopo, uno sbocco narrativo (come in The Undoing – Le verità non dette, sempre HBO, sempre su Atlantic, miniserie conclusa e interamente disponibile che gioca appunto sul capovolgimento della verità accettata dallo spettatore). Quindi: da un lato questa incertezza è un po’ il sale della serie (finora; abbiamo già detto di essere solo a metà), e potrebbe aprire a filoni narrativi davvero interessanti; d’altra parte – come già successo catastroficamente con The Undoing – potrebbe rivelarsi l’anello debole che rischia di far franare l’intera costruzione narrativa.

Se il vulnus sociologico alla credibilità non vi disturba, e se la continua oscillazione fra elementi contrapposti vi può piacere, se qualche citazione di troppo da precedenti film vi può stare bene, allora sì, è da guardare, perché il “prodotto” (ahinoi, solo di questo si tratta) è ben confezionato.. Se poi alla fine saremo contenti, lo sapremo solo alla fine.

Claudio Bezzi

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