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L'Umbria Jazz dei record ora guarda al futuro

Snarky Puppy

PERUGIA – Dovrebbe ormai essere chiaro a tutti che Umbria Jazz è un festival. Di musica, sia essa pop, rock, blues, d’autore, hip hop e chi più ne ha più ne metta. Con questo si vuole sottolineare che dal 2003, anno del trasferimento dai Giardini del Frontone all’arena Santa Giuliana, il festival Umbra Jazz è stato sottoposto ad una complessa operazione di “mutazione genetica” che pare ora essere giunta alla sua piena fase di maturità. Insieme all’altro grande elemento che ha contribuito a questa mutazione, vale a dire il riconoscimento da parte ministeriale della valenza di manifestazione di interesse nazionale che gli ha permesso di accedere a nuove risorse pari a un milione di euro (dal 2018), al festival non rimane ora che porsi il quesito di dove si voglia “collocare” nell’ambito delle manifestazioni culturali italiane, o meglio se porsi l’obiettivo di alzare anno per anno l’asticella della popolarità e quindi se dirottare le sue risorse su investimenti ancora più cospicui su pop e rock che, al di là del jazz tout court, siano in grado di radunare grandi masse di spettatori. Con l’edizione record di quest’anno che si è conclusa ieri, Umbria Jazz ha stabilito che la via dell’ulteriore sviluppo è a portata di mano. I numeri parlano chiaro: oltre 40.000 paganti con un incasso che ha superato 1 milione e 600mila Euro. Boom del merchandising ufficiale con un incremento delle vendite del 40%. Si calcola che i visitatori durante i dieci giorni di Umbria Jazz abbiano raggiunto la cifra record di 500 mila. Trecento eventi distribuiti su dieci giorni, per la maggior parte gratuiti; dodici diverse location. Novantacinque band in cartellone con quasi cinquecento musicisti. Un mix “magico” di scelte che sono risultate vincenti, compreso un maggiore impegno sul versante mediatico con l’incarico di radio ufficiale del festival affidato a Rtl, ha permesso inoltre di riscoprire o scoprire un luogo tradizionalmente legato a Umbria Jazz con San Francesco al Prato con il suo nuovo auditorium, rivitalizzare un’area della città che – come ha affermato ridendo Pagnotta – alcuni non visitavano dai tempi delle “case chiuse” come via della Viola, con i workshop per bambini di Uj4kids e le jam session notturne al Méliès, favorire l’uso del minimetrò – come ha sottolineato il sindaco Romizi – che sembra aver raggiunto cifre importanti di utenti, sensibilizzare l’opinione pubblica sulle questione ambientali e climatiche con il progetto “Wake Up! Music will save the planet!” che proseguirà sino al 2023, anno del cinquantennale. Ora dunque – come ha ricordato il direttore generale Giampiero Rasimelli – occorre un ulteriore sforzo collettivo anche in considerazione del fatto che Umbria Jazz, come ha stabilito un recente studio dell’Università di Perugia, rappresenta un fattore economico fondamentale per il tessuto imprenditoriale di Perugia. E dopo gli anni della “depressione” post-terremoto, la scelta di perseverare nella promozione del binomio musica-territorio ha dato i suoi risultati. Infine l’aspetto che Rasimelli ha definito “social” che intende evidenziare quanto il festival sia in grado di stabilire le condizioni favorevoli per un clima di relazione che individua anche un nuovo senso della comunità, una comunità aperta nel segno della musica anche a chi proviene da altre città e da altri Paesi. Carlo Pagnotta sembra molto soddisfatto. Ha spiegato a chiare lettere che mentre lui si occupa di jazz, Annika Larsson si occupa di pop e musiche affini: “Quest’anno – ha detto Pagnotta – anche le scelte di Annika si sono dimostrate migliori degli anni passati e questo ha contribuito a determinare il successo di Umbria Jazz”. Ha infine insistito sulla questione delle clinics e ha sollecitato un ripensamento a chi ha soppresso le risorse (Fondazione Cassa di risparmio). Quali sono stati i migliori concerti per lui? Charles Lloyd, Chick Corea e a “scatola chiusa” Christian McBride. Intanto si profila Orvieto su cui invoca una legge “anti-crisi” dalla Regione, così “come è stato fatto per Terni”.
 

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