Naomi Wadler, tredicenne "multietnica" grida no al razzismo e l'arte si compie

Naomi Wadler, tredicenne afroamericana, al recente summit di Davos, di fronte ai potenti del mondo non ha esitato a “gridare” e affermare i tratti della sua identità plurale e farsi portavoce dei diritti degli afroamericani contro ogni razzismo e pregiudizio che negli Stati Uniti continuano a manifestarsi con diverse modalità: a volte striscianti, spesso, evidentemente manifeste. Naomi ha, come detto, tredici anni, la pelle bruna che rivela le sue origini etiopi, adottata a due anni ad Addis Abeba e naturalizzata americana. La sua famiglia di adozione è di origini ebraiche. Di lei dice: “Sono una migrante, una donna, sono nera, sono ebrea e ho tredici anni”. Lei stessa una vera “opera d’arte” come solo la realtà sa produrre. Ma arte è anche astrazione dalla realtà con cui si è contrapposta nel recente passato a lessemi come negazione, annientamento, superiorità razziale, guerra, barbarie, sterminio, tortura: tutti sinonimi di un fine ultimo che il Nazismo stabilì: la morte per ciò che si presentava “altro” da sé. L’arte è per definizione propria l’esatto contrario: è accettazione e inclusione di alterità, sia questa alterità una modalità di astrazione o di immaginazione che come tali indicano itinerari mentali, associazioni di pensiero diversi che esulano da uno sguardo consueto sulla realtà. Arte è anti-consuetudine perché è provocazione e meraviglia, è sublimazione della bellezza, è un punto di vista differente, è contemplazione e meditazione su quel che ci circonda, ma anche sollecitazione e scuotimento delle coscienze. Per questo i nazisti definirono “degenerata” grande parte dell’arte e misero all’indice alcuni dei geni dell’Espressionismo, ma non soltanto. Indicarono abiezione nei confronti ad esempio di Marc Chagall, Paul Klee, Mark Ernst, Vincent Van Gogh, tanto per citare i più famosi. Oggi che l’indicibile è stato almeno in parte elaborato, anche se continua in un percorso carsico a riaffiorare in manifestazioni di odio e di rifiuto nei confronti dell’ “altro”, l’arte prende parte alla memoria, in alcuni casi se ne fa protagonista ispirando pièce teatrali, proponendo volumi che rievocano l’orrore dell’Olocausto, raccogliendo testimonianze degli ultimi scampati allo sterminio. Insegnanti e allievi di tutta Italia nella Giornata della memoria cercano di ricollocare diegeticamente l’inspiegabile in un quadro dove la bestialità ha dominato l’animo degli uomini e l’indicibile – così come Anna Frank definì la Shoah nel suo “Diario” e molti ebrei avevano appena il coraggio di sussurrare – prese il sopravvento. Ma come scrisse il filosofo Adorno il mondo dopo Auschwitz non è più il mondo precedente ad Auschwitz, la cultura e l’arte sono “spazzatura”, sono un atto di barbarie, finanche la poesia non è più possibile”: è un’affermazione apodittica anche se lo stesso Adorno in seguito si dirà convinto che sinché esiste dolore e sofferenza l’Uomo avrà sempre il diritto di elaborarli anche con l’arte, ma è necessario tracciare una liminalità tra coscienza critica e spettacolarizzazione. E’ numeroso, oggi che gli spostamenti sono molto più facilitati, il “pubblico” che si approccia all’orrendo e all’oscenità della morte di milioni di ebrei nel Lager di Auschwitz-Birkenau alla stregua di uno spettatore di film horror. La commercializzazione è fatto che riguarda purtroppo da vicino anche la Shoah, soprattutto in tempi in cui la tendenza è quella di farsi scivolare tutto addosso e vivere l’esistenza come esperienza più virtuale che reale. Attenzione quindi alle facili storicizzazioni, ora che gli ultimi testimoni stanno estinguendosi, perché potrebbero diventare terreni scivolosi, piani inclinati dove potrebbero innestarsi rapidamente revisionismi e negazionismi pericolosissimi, come spesso già accade nel mare magnum del Web dove ci si può imbattere nella verità, ma anche nel suo esatto contrario. All’arte, dunque, la complessa eredità di continuare a scuotere le coscienze in un processo di elaborazione senza soluzione di continuità. Anche se in fondo è la reificazione cui è finalizzata ogni idea metafisica –  così come lo stesso Adorno e il nostro Emanuele Severino, scomparso in questi giorni, insegnano – e il mondo delle cose si fa meraviglia quando lo si riscopre apportatore di elementi nuovi di riflessione, come Naomi la tredicenne che supera barriere razziali e odi e che rivendica la propria dignità di individuo “multietnico”, magari soltanto raccontando se stessa.
 

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