Oggi al via il Festival delle Nazioni: intervista al direttore artistico Aldo Sisillo

CITTA’ DI CASTELLO – La cinquantaseiesima edizione del Festival delle Nazioni è dedicata all’Italia. L’omaggio al nostro Paese – che si articolerà in diciannove eventi dal oggi, 23 agosto, al 7 settembre, nei luoghi d’arte più suggestivi di Città di Castello e dell’Alta Valle del Tevere – volgerà lo sguardo alla musica italiana del periodo che va dalla fine dell’Ottocento fino alla seconda guerra mondiale, con particolare attenzione alla temperie culturale e alla produzione musicale scaturita dagli eventi storici cruciali di quel momento.

Questo è il secondo anno del progetto triennale sulla musica di nazioni che lasciarono un segno nel periodo coloniale. Per quanto riguarda l’Italia, un periodo controverso che ha lasciato un’eredità molto pesante, triste e di cui si sa poco. Ma da un punto di vista storico e artistico-musicale cosa presenta di interessante quel periodo?
“C’è da dire – risponde il direttore artistico Aldo Sisillo – che questo periodo della produzione musicale è stato un po’ rimosso perché giustamente, come dice lei, ha certo lasciato un’eredità pesante. Sicuramente però la cosa importante è che un Festival come il nostro che va a riscoprire cose nuove, cioè sconosciute. Infatti in quegli anni, soprattutto nel decennio, degli anni 30, il regime si propose con l’organizzazione di molti concorsi e rassegne, con lo scopo di valorizzare.la musica italiana.
Interessante è che tutti i grandi compositori dell’epoca vi parteciparono, da Casella che pure è un artista internazionale che valorizzò la musica di Mahler – dedicheremo anche un concerto alla trascrizione alla terza di Mahler fatta da Casella. Però Alfano, Cilea, Zandonai, Malipiero e lo stesso Casella, Balilla Pratella che era un futurista, quindi prevedibilmente fascista, tutti parteciparono.
O furono, per così dire, costretti?

L’obiettivo diffuso era prendere la tessera e imbonirsi il regime ma vi furono anche adesioni, ad esempio, di un direttore come Vittorio Bui, che poi è vissuto fino qualche decennio fa, che fu l’unico a firmare il manifesto antifascista.

Di certo interessanti, invece, sono i punti di vista e le espressioni artistiche musicali di chi subì il periodo coloniale, in particolare di riflesso all’Italia, l’Etiopia, con il reggae di Alborosie.

“Sì, Alborosie, lui è italiano, e farà diretto riferimento alla cultura rastafari”
Non tutti sanno appunto che la cultura rastafari che è ancora molto seguita, per esempio in Jamaica, dove Bob Marley l’ha diffusa, è nata dalla resistenza al colonialismo con Hailé Selassié, giusto?
“Esatto. Intanto l’Etiopia era uno degli Stati più moderni in Africa, e prima della colonizzazione, vi era già un fermento anticolonialista. Infatti il concerto della scrittrice e musicista, Gabriella Ghermandi, di origini etiopi, fa proprio riferimento all’imperatore precedente Menelik, che fu quello che modernizzò la politica e in quel periodo esisteva già un movimento etiope, anticoloniale. Diciamo che Selassié utilizzò molto la sua immagine anche come resistente, diventò il simbolo della resistenza, perché lui scappò, fece il governo in Inghilterra e. siccome lui era profondamente legato anche alla religione cristiana, cristiana copta, si proclamò discendente della regina di Saba, quindi supportato dalla tradizione precristiana e cristiana”.

Poi per andare oltre il tema forse principale di questa edizione del Festival delle Nazioni, c’è da parlare di Signorelli e del Perugino che non potevano mancare. Protagonisti nell’anno del Cinquecentesimo anniversario della morte. E che vengono presi a riferimento dall’Ensemble Micrologus.

“I Micrologus suoneranno musica di diversi anonimi di quel periodo, proprio del Rinascimento.
Invece l’UmbriaEnsemble rimane in tema sul periodo coloniale. Ascolteremo un pezzo di Balilla Pratella, per esempio, per un dramma orientale che giunge decimino, quindi a 5 fiati e 5 archi proprio in tema coloniale. In questo caso si presenta in una forma un po’ più sui 10, invece questo è  in forma più cameristica; e un altro per chiudere la cosa sul colonialismo su produzione di Caterina Casini che ha preso spunto dall’archivio diaristico di Pieve Santo Stefano”. La Casini ha costruito uno spettacolo, tra l’altro, musiche che abbiamo commissionato a un giovane compositore italiano.
Dal titolo Inquietudini Ruggenti e Ciondolino, giusto?
“Ciondolino, che è un racconto che all’epoca era molto conosciuto, è un racconto di Vamba, lo scrittore autore di Giamburrasca, Luigi Bertelli autore del libretto in una rielaborazione liberamente tratta dalla raccolta di Enrico Paci e abbiamo commissionato la musica Stefano Garau. Anche questo un racconto in musica che coinvolge anche sia insegnanti che allievi delle scuole di musica di Città di Castello”.
Poi i giovani emergenti ai quali il Festival delle Nazioni riserva tradizionalmente particolare attenzione.

“Quest’anno abbiamo voluto sottolineare la presenza di due autori musicisti che hanno vinto nel ’21 nel ’22, due premi importantissimi con Alexander Gadjiev, goriziano, secondo al Premio Chopin che si svolge ogni 5 anni. Il Premio pianistico più importante del mondo: ha vinto Pollini nel 1960 e sono passati 40 anni per avere un altro premiato italiano. Invece l’altro Giuseppe Gibboni, che dopo più di vent’anni dall’ultima vittoria di un italiano, ha vinto il Premio Paganini, premio che è stato vinto solo quattro volte dagli italiani. Vogliamo presentare a parte il vincitore del Premio Burri dell’anno scorso, un trio di fisarmoniche, tra l’altro strumento di eccellenza italiana: il Sirius Accordion Trio”.
E per il prossimo anno, a conclusione del ciclo sulla musica del periodo colonialista, si preannuncia una vasta panoramica sulla musica portoghese.

 

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