Osmida, il decostruttivismo nell'arte


 
PERUGIA – C’è un passaggio nell’intervento dell’architetto Paolo Berardi, nipote di Mirella Secca (Osmida), nel catalogo curato da Massimo Duranti e Andrea Baffoni, che sintetizza con potente efficacia l’intera opera dell’artista cui è dedicata la mostra antologica alla Sala Cannoniera della Rocca Paolina, prorogata ancora per qualche giorno, sino a domenica 7 aprile. Per chi non avesse ancora fruito dell’arte di una delle più creative e geniali artiste perugine, c’è ancora qualche scampolo di tempo per rimediare. Osmida era onnivora di cultura, letteratura, poesia, musica e si guardava attorno con molta curiosità unita a uno spiccato senso critico, soprattutto in un’era di profonda trasformazione come quello della fase intermedia e finale della sua vita con l’avvento delle nuove tecnologie e del Web. L’architetto Berardi ha forse sintetizzato il profilo più calzante alla personalità dell’artista: “…Erano gli anni del decostruttivismo e Osmida era molto interessata all’intreccio, tanto intricato quanto intrigante, che si era stretto a Parigi tra gli espaces blancs di Jacques Derrida e le folies architecturaux di Bernard Tschumi disseminate nel Parc della Villette. Osmida aveva intuito che la decostruzione, intesa come operazione tutt’altro che meccanica di smontaggio e riassemblaggio delle componenti fisiche del costruire, proprio perché era vocata a sovvertire un sistema di valori (e di senso, n.d.r.) ormai inadeguato alle esigenze culturali del nuovo millennio, non comportava un atteggiamento molto diverso da quello proprio delle avanguardie del Novecento in cui lei affondava le proprie radici…”. Osmida rimase in definitiva folgorata dall’opera di Libeskind. “…Né poteva essere diversamente – continua il nipote -, vista la passione viscerale di Libeskind per le arti figurative che ha sempre impregnato tutti i suoi progetti (soprattutto quelli più innovativi e simbolici) tradendo profonde contaminazione con la filosofia, la letteratura, la musica e ovviamente con la pittura…”. “…Libeskind – scrive ancora Paolo Berardi – ha rivendicato con grande veemenza l’irrinunciabilità della mano nell’atto creativo…”. Osmida fece altrettanto, le sue opere lo dimostrano. Figlia del suo tempo, univa alla capacità manuale di trattare materie sperimentali e innovative che siano la nera gomma sintetica o l’amianto, ma soprattutto la doppia carta catramata, all’arte di plasmarle in base a un visione di fondo che scaturiva da un’idea insieme ironica e ultimativa dell’arte, leggera e drammatica allo stesso tempo. Osmida in sostanza – come asserisce il nipote – superò i limiti bidimensionali imposti dalla tela di lino e dal foglio di carta, Osmida aveva sempre fatto architettura nell’arte”.

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