Perugia, la città che cambia e perde pezzi della propria anima

PERUGIA – La società come la conosciamo noi è cambiata.

Le relazioni sociali, uscire, muoversi, acquistare. Il modo di stare al mondo.

Nonostante una delle frasi che si sente ripetere più spesso sia proprio “speriamo che tutto torni alla normalità”, in fondo sappiamo tutti benissimo che ciò che ci stanno restituendo questi ultimi due anni è un mondo che non sarà più come prima. Un mondo, ci abbiamo sperato all’inizio, non migliore, ma diverso con il quale confrontarsi e fare i conti giorno dopo giorno.

Anche e soprattutto adesso, con i primi segnali di una timida ripresa alla luce delle recenti riaperture che ci fanno sentire un po’ più liberi di riappropriarci di quello che è il luogo per eccellenza nel quale viviamo di più: la nostra città.

Le città come i sogni sono costruite di desideri e di paure” spiega Marco Polo al Gran Khan nelle Città Invisibili di Italo Calvino ed in effetti, il modo in cui l’uomo percepisce e gestisce lo spazio intorno a sé possiede da sempre una valenza simbolica e culturale. In tempi antichi la costruzione del tempio o del totem attorno al quale si edificava la città diventava punto focale di ordine e organizzazione in antitesi con il caos esterno. La città andava a circoscrivere un luogo sicuro e stabile contro l’imprevedibilità della natura e per questo quando se ne tracciavano i confini, i solchi venivano benedetti, il fuoco sacro acceso ed offerte donate alla terra deputata ad ospitare tale luogo.

Basta rifletterci un istante per riconoscere in ognuna delle città che conosciamo o con le quali siamo venuti in contatto una propria personalità, un’atmosfera particolare: dalla “Città della Luce” alla “Grande Mela”, dalla “Città Eterna” alla nostra piccola ma suggestiva “Augusta” con la sua storia millenaria.

 

Nel corso dei secoli le cose sono cambiate certo, ma la città continua a svegliarsi con i suoi abitanti e a conservare il suo lato simbolico di appartenenza e familiarità, mutevole teatro nel quale si svolgono le nostre vite ad oggi cambiate.

L’emergenza degli ultimi mesi ha riscritto i bisogni dei cittadini, le attuali necessità di contenimento e distanziamento chiedono spazi più dilatati e nello stesso tempo città più abitabili e flessibili, il miglioramento della digitalizzazione, un uso migliore dello spazio ed una riscoperta delle attività di prossimità e degli spazi verdi.

Se c’è una cosa infatti che la pandemia avrebbe dovuto insegnarci è proprio l’importanza di parchi e percorsi pedonali vivibili e curati, per aumentare il proprio benessere stando all’aria aperta, facendo movimento ed anche per incontrarsi con minor timore di venir contagiati.

Un ambiente urbano percorribile a piedi o in bicicletta, con una rete di mezzi pubblici efficiente ed un uso intelligente delle strutture già esistenti sono tra le altre sfide che le città di oggi sono chiamate a sostenere per adattarsi agli attuali cambiamenti.

 

Volgendo un rapido sguardo alla nostra Perugia però, nulla di tutto ciò sembra profilarsi all’orizzonte. Già l’arrivo in città dalla superstrada è desolante: rifiuti ovunque per quello che dovrebbe essere il biglietto da visita della città che immette su strade, disastrate, che sono di nuovo invase da automobilisti nervosi. Il centro storico è stato riaperto alle auto e i mezzi pubblici hanno ormai da anni, le stesse criticità. Gli spazi verdi, laddove non vengono violentati per fare spazio a nuove costruzioni, sono trascurati e ridotti alla stregua di immondezzai a cielo aperto, salvo rari casi dove sono però le associazioni di volontari a prendersene cura.

Un esempio fra tutti, simbolo di questo cambiamento in negativo, di una città che continua a colare cemento in barba a qualsiasi transizione ecologica è l’ex tabacchificio di via Cortonese progettato al tempo da Nervi. A parte il corpo centrale e la vecchia ciminiera è stato demolito per fare spazio ad altri palazzoni grigi, triste sfilza di appartamenti che si vanno ad aggiungere agli altri migliaia sfitti che si trovano in giro per la città.

Ma ricordiamo anche la demolizione senza senso delle due villette ex Onaosi degli anni cinquanta costruite dalle famiglie Giannoni-Buraglini in via XX Settembre e l’ancor più grave vicenda della biblioteca degli Arconi con gli inestimabili archi trecenteschi che sorreggono la piazza del Sopramuro riempiti di cemento e vetrate post moderne. Il nuovo mostro in ferro e lamiera spuntato a Fontivegge, il taglio dei 104 alberi sani del parco Chico Mendez e la notizia di pochi giorni fa della demolizione della storica sede dell’Ellesse a Corciano. Al suo posto l’ennesimo McDonald’s e l’ennesimo supermercato che ci parlano dell’incapacità della nostra città di ripensare se stessa rapportandosi con lungimiranza ed armonia con il suo passato e con i tesori che possiede senza farne tabula rasa.

Una città che, neanche troppo lentamente, perde per strada  piccoli pezzi della propria anima, negozi, uffici, attività; che lascia i teatri chiusi, pensiamo al Pavone, al Turreno, al Lilli e che continua a proporre le vetrine plastificate dei centri commerciali come unica soluzione dimenticando che, come la calviniana Zaira “non di questo è fatta la città, ma di relazioni tra le misure del suo spazio e gli avvenimenti del suo passato” e questo passato “lo contiene come le linee d’una mano, scritto negli spigoli delle vie”.

Una città che tira a campare in attesa di qualcosa che non arriva mai, rifacendoci sempre alle Città Invisibili, una città sempre più Leonia dove “l’opulenza si misura dalle cose che ogni giorno vengono buttate via per far posto alle nuove”, luogo agghiacciante circondato dai rifiuti infiniti di una pseudo civiltà dei consumi che assedia e stritola da ogni lato.

 

Esistono anche dei cambiamenti in positivo? Delle risposte sane a questi nuovi bisogni? E’ di questo che andremo in cerca, in questo viaggio metropolitano che inizia qui, alla scoperta di una Perugia che cambia.

 

Francesca Verdesca Zain

 

Crediti musica video: Musica: Pill R/B-Musicista: Not The King

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