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Quarantacinque anni fa la strage di Bologna e la morte di Sergio Secci: ancora oggi mi chiedo perché

PERUGIA – Ero a Terni agli inizi degli anni Ottanta. Ero continuamente alla ricerca di nuove amicizie, di emozioni, di confronti, di esperienze. Mi innamorai della musica e insieme a un gruppo di amici fondammo il Blues Island, un luogo per gli appassionati soprattutto di jazz, ma anche di danza, teatro, arti varie. Il Blues Island era aperto al contributo di tutti, anche se il gruppo fondatore ne esprimeva l’indirizzo artstico. Del resto al suo interno figuravano già da allora personaggi emblematici della musica a Terni come Piero Grimani e Vittorio Gabassi. Ricordo Sergio che spesso nei fine settimana scappava da Bologna dove era iscritto al Dams per fare visita ai propri genitori. Ricordo il suo ragionare pacato e il suo esprimere consigli anche sulla vita artistica del Blues Island. Era molto interessato al teatro e qualcuno già prospettava un futuro per Sergio nell’ambito della progettualità del Blues Island. Lo voglio ricordare sorridente e prodigo di umanità, di comprensione, di comunicazione. Non potei credere qualche tempo dopo a quanto urlato dai mass media di quell’immonda notizia della strage e ancora meno ero disposto a credere che in quel mare di sangue fosse annegato anche Sergio. Sono cresciuto senza mai finire di chiedermi perché, trovai solo delle risposte parziali. Del resto non c’è risposta a una violenza così inaudita, a una morte così assurda nel nome dell’odio ideologico. Sono passati 45 anni da quella strage, da quel vuoto lasciato da quel giovane e promettente intellettuale ternano. E ancora oggi mi chiedo perché.

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