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Raffaella Giordano, liberi secondo Natura

PERUGIA Liberi nel vedere e nel sentire vedendo. Nel seguire forme che si disegnano per un attimo utilizzando mani, viso, braccia, la leggerezza e la potenza al tempo stesso dei passi della danza.  Liberi nell’interpretare il messaggio del corpo che va in scena da solo mostrando se stesso, dunque. Liberi nell’ascoltare i suoni di Arturo Annecchino e i rumori che sanno di afa, di ricordo felice, di infanzia, di un treno che passa, del cielo stellato, di malinconie per ciò che è destinato a finire, meglio, a trascorrere, come le stagioni, come la vita. Giocando, anche. Indossando maschere di carta ritagliate come magari ci insegnavano a fare dai fogli multicolori contenuti nell’album da collage; carta manipolata come per diletto, come si poteva ingenuamente fare ripiegando il foglio fino a farne barchette da infilare nel corso di un fiume; o per difendersi, nascondendosi ingenuamente ma comprensibilmente, dalle onde contrarie dell’esistenza.

Raffaella Giordano ha incontrato il pubblico del Morlacchi al termine dello spettacolo, accanto a lei Carla Di Donato

Raffaella Giordano è emozione. Espressione. Ieri lo spettacolo che ha portato al Morlacchi, “Celeste, appunti per natura” inserito in Smanie di Primavera con la fattiva organizzazione di Home Centro creazione coreografica, ispirato al libro “L’estate della collina” di John Alec Baker, chiedeva allo spettatore non lo sforzo di capire, “elemento che resta ancora inspiegabilmente inquietante – come ha avvertito Giordano stessa – nonostante sia passato del tempo rispetto al ruolo che ha acquisito la danza contemporanea”, ma di vivere semplicemente le sensazioni dettate da una proposta artistica che è “strutturata rigorosamente nella partitura e nei movimenti scenici ma che respira dell’aria del teatro” e  perfino delle “bolle del pavimento – confida sorridendo volgendo lo sguardo verso il direttore artistico dello Stabile dell’Umbria Nino Marino – e il rivestimento del Morlacchi non è il massimo per queste cose”.

 
Confidenze fatte al termine dello spettacolo quando Raffaella Giordano ha incontrato il pubblico introdotta da Carla Di Donato che visibilmente e comprensibilmente emozionata davanti a tante arte, più che fare domande ha apertamente confessato tutta la sua ammirazione.

Giordano si è aperta con molta disponibilità alla conversazione raccontando del suo periodo vissuto con Pina Bausch, breve ma intenso, e di un contratto che lei le propose ma Giordano non firmò perché desiderosa di dire e fare cose sue, pur non avendo avuto il coraggio, in quel momento, di dirglielo apertamente.  Ha sorvolato riguardo ipotetiche spiegazioni  riguardo lo spettacolo coerentemente con l’assunto iniziale che l’ha sempre spinta a proporre la sua arte innovativa, coraggiosa e spesso provocatoria nel pieno rispetto della libertà dello spettatore di interpretare e comprendere a dispetto della forma teatro che invece avendo un testo e un contesto in qualche modo indirizza talvolta l’interpretazione, la visione. Ha simpaticamente svelato piccoli aneddoti della messinscena che prevedono tre oggetti sul palco, numero ricorrente in altre sue creazioni, alcuni dei quali riproposti come fossero amuleti.

Ciò che resta alla fine anche per chi di passi danza non sa o poco tecnicamente comprende, è che quel vestito azzurrato con striature di terra e sagome di foglie ha penetrato il palco per piantare il seme e per poi farne vedere il germoglio, la crescita virile, fino a creare, in armonia, paesaggi, visioni, fino a diventare Natura. E a farti venire voglia di entraci dentro e toccarla.
Raffaella Giordano, foto Andrea Macchia

 

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