A cosa si rinuncia in tempo di lockdown? A tante cose. I conti li stiamo facendo come Paese Italia e come Umbria man mano che i nodi vengono al pettine. Intanto, a squassarci nel profondo, arriva la fotografia a tinte fosche scattata dal 17° Rapporto Annuale Federculture 2021-impresa cultura. La quale certifica, per l’appunto, che il comparto cultura nel suo complesso ha preso una batosta epocale.
I NUMERI
Gli indicatori sono tutti negativi: la spesa delle famiglie italiane per cultura e ricreazione crolla a 56 miliardi di euro complessivi era di oltre 73 miliardi nel 2019, un valore che riporta al 2000, vent’anni fa, quando la stessa voce era appunto di uguale entità.
A livello di spesa media mensile il calo registrato è del 26%, la voce di spesa per ricreazione, spettacoli e cultura passa da 127 a 93 euro al mese, con le sottovoci pacchetti vacanza e servizi ricreativi e culturali che perdono rispettivamente il 56,8% e il 37,3%.
Il 62% delle imprese dichiara impatti sul proprio bilancio fino al 60%, per il 12% l’impatto è anche superiore a questa soglia, con conseguenti ripercussioni anche sull’organizzazione del lavoro, circa il 70% ha fatto ricorso a Cig o Fis, e sulle attività largamente riconvertite al digitale per mantenere la vicinanza almeno virtuale con il pubblico tenuto lontano da chiusure e restrizioni (il 41% dei rispondenti ha avuto una riduzione del pubblico fino al 50%, il 37% tra il 50 e il 75% e il 21% oltre il 75%).
Tra le imprese di piccole dimensioni, il 67% ha beneficiato dei sostegni. E il giudizio sugli stessi è in buona misura positivo: il 54% ha ritenute le misure adeguate seppure rivolte solo a fronteggiare l’emergenza, mentre poco più del 7% le valuta adeguate ma con criteri e procedure di accesso complesse. Il 12% dei rispondenti le considera sufficienti e il 26% insufficienti.