Coronavirus: salute pubblica sì, ma attenzione al Grande Fratello

PERUGIA – Nell’era del Covid19 l’imperativo categorico è la difesa della salute pubblica, certo. Ma si pone al contempo forte la tutela di un altro principio basilare della nostra Costituzione, l’articolo 13 che prevede la garanzia di un altro bene primario, la libertà individuale. Da più parti in questi giorni si è posta l’esigenza di applicare nuove forme di controllo per i contagiati tramite l’uso di app che possono monitorare movimenti e contatti, abitudini e stili di vita dei “controllati”, definendo percorsi a cerchi concentrici per circoscrivere una mappatura di eventuali nuovi contagiati. E’ il metodo usato in Corea del Sud che ha prodotto eccellenti risultati per il contenimento del virus. Adottiamolo anche noi, è stata l’esortazione di molti. La logica seguita è appunto quella della salute pubblica come principio primo da tutelare, senonché questa logica pone degli elementi stridenti con l’altro principio della salvaguardia della libertà individuale, vale a dire il controverso tema della sorveglianza, il Grande Fratello orwelliano, che nelle forme del neoliberismo hanno prodotto evidenti cortocircuiti nei principi sociali democratici e in particolare nella tutela delle classi e dei ceti sociali meno abbienti. Con le leggi sulla privacy che vengono regolarmente aggirate per accumulare dati sensibili su ognuno di noi attraverso i social, l’Ai (intelligenza artificiale) e i Big Data hanno già posti i paradigmi di nuove forme di sorveglianza anche sulla nostra salute che gli algoritmi hanno rielaborato per farne un nuovo elemento di marketing. La salute individuale, dunque, diventa anch’essa un prodotto su cui alcune assicurazioni americane e non solo hanno già stabilito nuove forme di business, con polizze meno costose per chi conduce stili di vita sani e più costosi a chi si espone ai rischi di stili di vita meno virtuosi. Questa considerazione pone l’enfasi sulla salute come responsabilità individuale cancellando ogni riferimento a fattori sociali ed economici. Sappiamo infatti che stili di vita poco sani sono condotti in genere dalle persone più povere dal momento che un elevato livello di istruzione e in genere un lavoro ben remunerato possono garantire benefici in termini di benessere. E’ Bauman a sostenere che in un sistema che adotta come paradigma il principio di sorveglianza, la stessa sorveglianza tende a farsi liquida dal momento che “frammenti di dati estratti per un determinato scopo divengono facilmente utilizzabili per altri scopi”. L’inchiesta su Cambridge Analytica, per citare la “madre” di tutte le inchieste di questo tipo che si sono in seguito succedute, dimostra come il sistema della commercializzazione fraudolenta di nostri dati sia pratica ormai diffusa e quanto sia necessario ribadire la tutela delle libertà individuali e della privacy. Si tratta dunque di contemperare due principi inderogabili, la salute pubblica e il diritto alla libertà, facendo sì che quest’ultima sia sempre frutto di scelte consapevoli. Secondo quanto sta emergendo esisterebbero già app in grado di garantire una affidabile sorveglianza, garantendo allo stesso tempo l’anonimato del “sorvegliato” che avrebbe come propri “terminali” di riferimento gli operatori sanitari che ne potrebbero monitorare tutte le variabili di contatto e di diffusione del virus. Ma in base alla considerazione che nei sistemi digitali ogni traccia è incancellabile, perdura in ogni forma di device, chi assicura che quei dati garantiscano effettivamente l’anonimato del “sorvegliato” e non siano un domani utilizzati per altri scopi? Troppe falle al momento affondano le leggi sulla privacy.

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