Scuole chiuse tra confusione e rimpallo di responsabilità

PERUGIA – Com’è noto dal 3 febbraio le scuole umbre sono chiuse per 15 giorni (per ora), sottolineando una situazione che in Umbria è fra le più difficili in Italia, con l’emersione di varianti Covid che stanno preoccupando le autorità sanitarie regionali e rendendo complicata la situazione negli ospedali.

Stando ai dati forniti dalla Regione dell’Umbria, al 3 febbraio c’erano ben 123 classi in isolamento, con 70 contagiati tra il personale scolastico. Considerando l’insidiosità del virus, la scarsa sintomatologia fra i più giovani, la situazione dei tamponi etc., è lecito pensare che quei dati si riferiscano alla punta di un iceberg ben più preoccupante, assolutamente prevedibile data la totale impossibilità di contenere l’infezione nelle nostre scuole. La chiusura delle scuole (in 31 comuni della provincia di Perugia) è indubbiamente doverosa, speriamo non tardiva.

Perché era prevedibile il dilagare del contagio nelle scuole (e, attraverso i bambini e ragazzi, alle loro famiglie)? Per la semplice ragione che le direttive ministeriali erano di una vaghezza eccezionale, sostanzialmente volte a responsabilizzare i livelli organizzativi inferiori (dirigenti scolastici e insegnanti) che hanno a loro volta cercato di rifarsi sui genitori, in una discesa sempre più vaga e insostenibile; per esempio: a molti genitori è stato chiesto, a inizio anno scolastico, di firmare una dichiarazione in cui si impegnavano a misurare la febbre, ogni mattina, al loro figlio, trattenendolo a casa in caso di febbre. Capiscono tutti che solo un’irrisoria quantità di genitori rispetta l’impegno preso, ma in qualche modo si cerca, così, di spostare eventuali responsabilità anche di natura giuridica.

In ogni caso sono continuati gli spostamenti col pulmino scolastico; gli assembramenti ai bagni; gli ammassamenti di bambini, e a volte di genitori, all’ingresso e all’uscita, con situazioni paradossali e a volte perfino comiche che testimoniano, una volta ancora, la confusione generale, la mancanza di direttive e protocolli seri, la semplice realistica impossibilità di mantenere distanziamenti e mascherine. Ci sono i genitori NoMask con figli ovviamente abbastanza trascurati nel rispetto di queste regole; chi deve provvedere? L’insegnante forse? Per quante volte? Come comportarsi se l’esortazione non produce risultati? Occorre entrare in aula in quel dato orario, tutti assieme (guai pensare a scaglioni, anche di soli 5 minuti l’uno dall’altro; è rivolta dei genitori). Bisogna raggiungere la palestra distante col pulmino. Bisogna fare tante cose, senza strutture idonee, senza soluzioni praticabili, improvvisando, con dirigenti scolastici (non invidiabili in questo periodo) che in alcuni casi sembrano ossessionati dalle procedure formali, ma non sempre in grado di vedere i problemi nella loro dimensione reale.

E quindi: tutti a casa a fare la DAD (didattica a distanza); meglio più ignoranti ma più sicuri. Ma la lenta discesa dei contagi registrata in queste settimane – come testimoniano gli ultimissimi dati nazionali proposti dalla Fondazione Gimbe, diffusi in queste ore – si è interrotta, e i dati ricominciano preoccupantemente a risalire in 9 Regioni: ovviamente Umbria compresa.

Cos’è che non si è capito ieri, la settimana scorsa, il mese scorso?

Claudio Bezzi

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