Sessantaquattro anni fa la prima ribellione contro il segregazionismo negli Usa, ma il mondo regredisce e riaffiorano razzismo e intolleranza

PERUGIA Anche l’Umbria, terra di pace e fratellanza, di San Francesco e di Aldo Capitini, non è immune. L’imbarbarimento, la decisa regressione civile e culturale che l’intero pianeta sta vivendo, dagli Stati Uniti all’Europa dell’Est, dalla Turchia all’Iran, da Hong Kong al Cile, riporta tutti indietro nel tempo, quando le dure battaglie per i diritti civili sembravano ormai vinte per sempre. Invece, eccoci qua, a ricominciare daccapo e a ribadire i principi e i valori della libertà e contro ogni forma di violenza e di razzismo. Ecco il razzismo, ad esempio. A più riprese, come in un percorso carsico, si manifesta come la prima e più grave espressione di intolleranza e di barbarie civile; anche l’Umbria, come detto, non è immune da episodi che spesso riappaiono dal nulla pneumatico delle menti che li generano. Nel febbraio scorso a Foligno “un maestro di una scuola elementare – come riporta il sito “Cronache di ordinario razzismo” – costringe un bambino nero a voltarsi verso la finestra, additandolo a tutta la classe come “troppo brutto” per essere guardato in viso. “Ma che brutto che è questo bambino nero! Bambini, non trovate anche voi che sia proprio brutto? Girati, così non ti devo guardare”, avrebbe detto il maestro, secondo i racconti riportati dai genitori. Il maestro, hanno raccontato i bambini, è andato verso la finestra, ha disegnato un segno sui vetri e ha costretto il bambino nero a guardare verso il segno, con le spalle alla cattedra. “Un esperimento sociale”, si sarebbe giustificato il maestro. La sua intenzione, cioè, sarebbe stata mostrare ai bambini l’ingiustizia di un comportamento visibilmente razzista. Il risultato è stato scioccante e ha portato i genitori a denunciare l’episodio sui social e non solo. L’episodio, oltretutto, si sarebbe ripetuto con le stesse modalità nella classe di un’altra bimba nera, la sorella maggiore del piccolo”. E’ solo un episodio che segue tanti altri e ne precede altrettanti, ma un episodio allarmante, ammesso che siano veritiere le affermazioni del maestro che avrebbe “messo alla prova” i bambini, sintomatico delle modalità brutali di una certa pseudo-pedagogia basata su paradigmi razzisti. Eppure risale esattamente a 64 anni fa la prima vera e più autentica ed efficace ribellione contro la segregazione razziale subita dagli afroamericani negli Stati Uniti. Il fatto accadde in Alabama, quel 1 dicembre 1955, Rosa Parks seduta su un autobus all’intimazione del conducente di alzarsi per far posto ad un uomo bianco, si oppose con tutte le sue forze. E rimase lì seduta con tutto il suo orgoglio, la fierezza e la forza di una donna che aveva solo intenzione di “gridare in silenzio” l’ingiustizia del razzismo e della segregazione razziale che i neri americani subivano da generazioni e generazioni. Fu l’episodio che risvegliò le coscienze di molti e che come un fuoco che cova sotto la cenere innescò quella che qualche più tardi fu la vera e propria battaglia per il riconoscimento dei diritti civili delle etnie di colore in America che lasciò sul campo anche molte vittime, tra cui Martin Luther King, il reverendo di “I have a dream”, il sogno di una civiltà di eguali. Qualche anno più tardi, nel 1964, sempre negli Usa, questa volta in Louisiana, a New Orleans, una bambina di 6 anni, Ruby, impose all’attenzione generale la sua condizione di bimba di colore che rivendicava il diritto di fruire di un’istruzione scolastica al pari di quella che veniva offerta ai bambini bianchi. Fu la prima che, grazie a varie sentenze della Corte Suprema americana, ebbe diritto di frequentare, anche se scortata per un anno dall’Fbi, la scuola per bianchi: lei, bambina nera, riuscì ad imporre il principio di uguaglianza nell’America segregazionista. Furono quelli momenti storici in cui la coscienza degli uomini compì un deciso passo in avanti, fondamentale perché infine si affermasse il principio dell’uguaglianza tra essere umani senza distinzione di razza, sesso, lingua, religione, opinioni politiche, condizioni personali e sociali, come prevede anche l’articolo 3 della nostra Carta costituzionale. Eppure non basta sancire per legge un principio inviolabile. Episodi preoccupanti di razzismo sono riapparsi da qualche anno in tutto il pianeta anche grazie alla vasta operazione di disinformazione del Web che spesso ha posto le condizioni per un revisionismo storico ricolmo di fake, bufale e falsità che, però, stanno ottenendo il risultato di plasmare menti fragili e facilmente manipolabili. Come quelle di molti ultras delle tifoserie di mezza Italia. Ultimo episodio in proposito: l’addio della calciatrice della Juventus Women di origini nigeriane Eniola Aluko a Torino.  Per la calciatrice il razzismo in Italia è un problema serio e sottovalutato: “Tante volte arrivi all’aeroporto di Torino e con i cani antidroga sei trattata come Pablo Escobar”. “C’è un problema in Italia – continua la Aluko  in un’intervista al Guardian – e nel calcio italiano e quello che mi preoccupa davvero è la risposta a tutto questo da parte di proprietari e tifosi che, nel calcio maschile, sembrano considerare tutto questo come parte della cultura dei fans”.

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