Storia di una sardina nell'immenso mare di internet

Se andate a  vedere nei vocabolari di pubblico dominio, la sardina viene sostanzialmente ritenuta una specie, un po’ speciale, perché aggregante, capace di formare banchi molto fitti e disciplinati, composti da centinaia o addirittura di migliaia di individui. Peraltro, caratteristica non comune nella scala delle selezioni delle specie, le sardine si riuniscono in gruppo assieme ad individui di altre specie, purché di taglia simile, come acciughe e giovanissimi tonni rossi.
Nell’avviso ai naviganti di  Vivo Umbria a firma del vice direttore della testata, Claudio Bianconi, l’articolo è figurativamente introdotto da un disegno di Diego Zurli. Conoscendolo personalmente, gli ho chiesto la…concessione, al di là di ciò che ciascuno di noi può socialmente e politicamente pensare che è nella tradizione di questa testata on line che ho l’opportunità di dirigere, di utilizzare la sua sardina. Mi è piaciuta da subito, infatti, l’espressione ingrugnita, un po’ incazzata e un po’ triste, lievemente connotata di colore per renderla, forse, moderatamente accettabile; non so se gradevole.  Questo disegno, non solo a “causa” nostra,  ha navigato nell’immenso mare di Internet in questi giorni toccando lidi e porti forse inaspettati, persino sorprendenti. L’eco, comunque la si giudichi, merita a nostro avviso  la pubblicazione della riflessione che ci ha fatto pervenire, alla luce di ciò che ha generato, l’autore Zurli, anche per la scelta di inviarci come nota a margine il prototipo della sua “sardina madre” che vedete in copertina. Convinti che sia opportuno, pur all’interno del gruppo in marcia, mantenere sempre e comunque la propria identità.
L’intervento
“Tracciata di impulso sul mio tablet in una notte insonne, copiata e incollata più volte sullo stesso disegno con la sola avvertenza di ruotarne leggermente l’asse orizzontale per accentuare l’effetto branco. L’ho postata per gioco – premette Zurli – nel mio profilo FB. Un modo banale  e tutto sommato inoffensivo per aderire e partecipare idealmente alla protesta dei ragazzi che si svolge nelle tante piazze d’Italia. Dopo qualche ora, comincia a registrare qualche decina di like, qualcuno la condivide sul suo profilo aggiungendo qualche commento e per un giorno più nulla. Pubblico il disegno sulla pagina “7000 Sardine in Umbria” alla quale mi iscrivo; qualcun altro a sua volta  lo condivide e lo commenta. Poi qualche amico mi chiese se poteva usare il disegno per le mie stesse finalità e io accetto ben volentieri senza problemi, sorpreso e perfino onorato dell’attenzione che il disegno generato da una stupida sardina aveva suscitato in così tante persone. La stessa richiesta mi viene avanzata nelle ore seguenti da alcuni giornali online – VivoUmbria per primo – ovviamente a titolo gratuito; e io ancora una volta accetto con soddisfazione  anche perché non vedo motivo contrario per negarne un uso assolutamente coerente con le mie intenzioni: quello di commentare  con un semplice gesto una serie di eventi in giro per l’Italia che, dopo tanto tempo, mi avevano per un attimo scaldato il cuore. Ad un certo punto una  amica mi avverte: “Diego, le tue sardine sono diventate virali”. È lì comincio a rendermi conto che stava succedendo qualcosa di sorprendente ed imprevisto: dagli sperduti  angoli del paese le mie sardine erano state riprese e commentate, sovrascritte e a volte in parte modificate, rilanciate nella rete, viste e riviste chissà da quante persone. Altri disegnatori improvvisati come me avevano avuto la mia stessa idea e le avevano riproposte, magari  con una grafica diversa. Le ho ritrovate a Milano in Lombardia, a Udine, a Palermo in Sicilia. Alcuni giornali nazionali online le avevano utilizzate per commentare le manifestazioni in giro per l’Italia e nel mondo. Echi remoti della loro inaspettata presenza sono rimbalzate all’interno del mio profilo da New York e dalla lontana Russia. Importanti esponenti politici nazionali le hanno usate per accompagnare  i propri commenti nella rete. A questo punto ho pensato che era meglio smettere di inseguirne le migrazioni anche perché il motore di ricerca che ho utilizzato per rintracciarle le aveva già associate a tutt’altro altro pesce, il Barracuda, travisando completamente le mie iniziali intenzioni.
Ma, nel frattempo era successa una cosa imprevista: le mie povere sardine, non erano più  solo mie: erano ormai diventate di tutti, ma anche probabilmente un altra cosa. È questa una storia banale e, al tempo stesso, per molti aspetti inquietante ed affascinante,  che mette in evidenza i meccanismi incontrollabili che alimentano il funzionamento della rete su cui mi riprometto di riflettere con maggiore attenzione. Mi vengono confusamente alla mente  i temi attualissimi della “furia delle immagini”, di cui  ha scritto un grande artista e storico della fotografia come Joan Fontcuberta: la velocità con cui le immagini circolano in rete le rende presenze attive, pericolose, furiose. La rivoluzione digitale sconvolge i paradigmi tradizionali su cui si era fondata la società precedente laddove concetti come, proprietà, verità, originalità non hanno più alcun senso. Quanto vorrei poter leggere  cosa scriverebbe Roland Barthes se solo fosse ancora vivo.
E ancora, come osserva argutamente Jaron Lanier, un celebre guru della Silicon Valley in fase di progressivo  ravvedimento dopo aver lautamente riempito le tasche di dollari, “Mentre stai  leggendo, migliaia di computer stanno costruendo modelli segreti della tua identità“. La legge di Moore – scrive Lanier – fa sì  che sempre più cose potrebbero essere fatte praticamente gratis, se non fosse per il fatto spiacevole che le persone vogliono essere pagate. Chi trae vantaggio economico da questo incessante flusso di  informazioni che circolano furiosamente nella rete: «gratis» significa inevitabilmente che qualcun altro deciderà il modo in cui viviamo? Le persone comuni «condividono», mentre le élite delle reti generano fortune senza precedenti? Massimo Gaggi, scrive che l’economia digitale non è misurabile con i tradizionali parametri del PIL salvo poi che qualcuno come Google si fa pagare in dati che è la nuova moneta di scambio della seconda società digitale. Forse Picasso, pronunciando la celebre frase ”io non copio, rubo” aveva capito già tutto anticipando di oltre mezzo secolo la potenza incontrollabile degli algoritmi. 
Troppe cose da capire tutte in una volta  partendo da una semplice ed inconsapevole sardina. Per il momento, divertito e sorpreso di tanta fatua quanto immeritata  notorietà, mi accontenterei di sapere che le sardine, al pari dei ben più noti salmoni o delle anguille che migrano in branchi al Mar dei Sargassi per riprodursi per ritornare più forti e numerose ai luoghi di provenienza, continuino a nuotare e a moltiplicarsi all’infinito al riparo da improprie ed intempestive  intrusioni della politica. Restituendo a me e a tanti altri la speranza, o forse l’illusione, che qualcosa può ancora succedere per uscire da questo tunnel in cui siamo entrati di cui, purtroppo, non si riesce ancora a intravedere la fine”. 
 

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