Tango Macondo, nostalgia e ricordi di un mondo ritrovato grazie a Paolo Fresu e i suoi compagni di avventura

PERUGIA – C’è un filo invisibile che lega immaginazione e realtà, la più cruda e spietata, ma anche la più lieve e leggera, soavità di poesia; che unisce il mondo onirico di Gabriel Garcia Marquez e la sua città immaginaria Macondo, nel luogo indistinto del nord della Colombia e la Sardegna, terra misteriosa e capace di evocare fantasmi e fantasie, immagini di un mondo lontano e inafferrabile, ricolmo di tradizione e storia eppure sfuggente e geloso di se stesso fino al momento del disvelamento. Jorge Luis Borges amava il tango e i gatti, soprattutto il suo Beppo a cui era legato a doppio filo e come in un ipnotico salmo Paolo Fresu che della Sardegna e dell’Argentina si può dire sia figlio, estrae magia da “Alguein lo dice al tango”, brano che strugge e distrugge a rendere indifesi di fronte al testo di Borges che rievoca memoria languida e avvolgente. Con l’aiuto di una ispirata Malika Ayane, Fresu come Beppo, ferino e insieme struggente, rievoca un’atmosfera ricolma di una distanza che non si può colmare, tra ricordi ed emozioni. E’ il primo atto di Tango Macondo, titolo della nuova opera teatrale prodotta dal Teatro Stabile di Bolzano, diretta da Giorgio Gallione e liberamente ispirata al libro “Il Venditore di Metafore” di Salvatore Niffoi.
La musica, composta da Paolo Fresu e dai suoi compagni di viaggio, ed eseguita dal vivo durante lo spettacolo, è in uscita oggi in un album della Tǔk Music disponibile in digitale  e  dal 26 novembre su cd e doppio vinile rosso trasparente 140g. Ci guida lungo il racconto di questo viaggio in un vortice di parole e suoni, tango e musica popolare, scrittura e tradizione orale. ”Il venditore di metafore”, Agapitu Vasoleddu, noto Matoforu è il personaggio principale del romanzo di Salvatore Niffoi, architetto e narratore che si inoltra nelle pieghe dell’anima a trarne calembour di senso e di suoni, di metafore appunto, per “smemorarsi e per trovare la forza di continuare a vivere, a trovare magia nella vita, attraverso un’intensa narrazione, delle parole di un racconto, noi tornati bambini affamati e affabulati dall’avventura. Fresu si insinua nella narrazione e passa da Gardel, gli ruba con l’aiuto di un’intensa Tosca “ El dia que me quieras” che guida con la sua voce un incanto contrappuntato da Di Bonaventura al bandoneon in una sontuosa mescolanza di languore e incanto. Nello scorrere degli altri brani in scaletta ci si imbatte nel “terzo atto”, tratto anch’esso dall’opera omnia di Gardel che segna, con Volver, il ritorno, scandisce il desiderio nostalgico della vista del proprio angolo di mondo. Un angolo di mondo cantato da Elisa infine ritrovato che riecheggia un’anima antica, incantata e stordita da un peso insostenibile che si fa leggero come – nell’altro mondo – dei sogni.

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