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The Walking Dead e la sociologia dell’Apocalisse zombie

The Walking Dead è una serie televisiva statunitense prodotta dal 2010.

Vale la pena parlare di The Walking dead per diverse ragioni: la prima è che alcuni episodi aggiuntivi della decima stagione usciranno a partire dal prossimo 28 febbraio, in attesa dell’undicesima e ultima serie prevista da Autunno fino agli inizi del 2022. Ma vale la pena parlarne perché – che abbiate accesso o no a Netlfix, che vi interessi o no la cinematografia apocalittica – non solo questo è diventato un fenomeno di massa, ma un indicatore culturale, sociale, di estremo interesse.

Perché gli zombie? Come mai da nicchia di B-Movie la cinematografia zombie è diventata così importante? Per il sociologo i film, come qualunque azione e produzione sociale, aiutano a comprendere il momento, la società e i suoi valori, l’orizzonte culturale e le direzioni verso le quali guardano gli individui. I sociologi G. Friedmann ed E. Morin, nel loro contributo Sociologie du Cinéma, apparso nella rivista “Revue Internationale de filmologie”, rivendicano un posto fondamentale per la sociologia, sia pur accanto ad altri ausili: il cinema è “un fatto umano, la cui unità e la cui realtà profonda non possono essere comprese e spiegate che grazie all’attenzione convergente di tutte le discipline che hanno l’uomo come oggetto”; nel secondo contributo dal titolo De la méthode en sociologie du cinéma, vengono delineati i contenuti e i metodi dell’intervento sociologico: l’idea è che “ogni film, anche se d’arte, o d’evasione, anche se tratta il sogno o la magia, deve essere esaminato come una cosa”; la soggettività di cui si carica può e deve essere studiata oggettivamente. Ogni film, anche quelli di finzione, offrono sempre un ritratto della società che li circonda.

I due saggi citati sono rispettivamente del 1952 e del 1955 e utilizzano un linguaggio e dei concetti propri di quell’epoca (oggi difficilmente un sociologo parlerebbe di “cose sociali” e di “studio oggettivo della soggettività”) ma il senso è molto chiaro e valido: i film non si astraggono dall’epoca storica in cui nascono e ne inglobano e cristallizzano società e sua cultura. L’espressionismo tedesco degli anni Venti riflette il malessere di un popolo sconfitto dal primo conflitto mondiale; il cinema di fantascienza americano degli anni Cinquanta “si piega a motivi propagandistici, l’invasore spaziale è il nemico politico, il conquistatore che vuole dominare il mondo assoggettandolo a sistemi totalitari, il portatore del germe che può intaccare le fondamenta stesse del sistema capitalistico: il comunismo” (Massimiliano Conti, Le paure degli anni Cinquanta nel cinema americano di fantascienza).

Se i mostri spaziali degli anni Cinquanta erano i cattivi comunisti che avevano l’atomica ed erano in vantaggio sulla corsa spaziale, minacciando i bravi cittadini americani, cosa rappresentano gli zombie, oggi? La risposta può essere inquietante e rende necessario distinguere gli zombie delle origini, quelli di Romero che avevano una forte valenza politica, da quelli attuali; questi ultimi rappresentano, assieme ai gruppi di sopravvissuti umani, l’anima tragica della nostra contemporaneità. Solitudine, cinismo, opportunismo, disperazione, mancanza di visione futura. Gli zombi, in The Walking Dead, sono il pericolo minore: lenti, stupidi, pericolosi solo se in ampi gruppi; vagano, hanno fame, seguono ottusamente altri zombie, corrono dietro a qualunque rumore, si lasciano ingannare facilmente da banali camuffamenti. Sono imbecilli incolpevoli e inconsapevoli, non hanno più colpe e anzi non ne hanno mai avute, seguono il loro destino in maniera bovina e un po’ patetica. Ma gli umani no. I sopravvissuti sono cinici, spietati, crudeli. Chi non lo è è già morto o lo sarà presto. Chi vive diffida, scruta, simula e dissimula. I veri zombie (nel senso di minaccia paurosa) sono gli umani. La società tratteggiata dall’apocalisse zombie è quella della personalità massificata (gli zombi) e del suo doppio, quella dell’esaltazione dell’individuo che per sopravvivere compie qualunque efferatezza. Anche se a fin di bene, nel senso della protezione del gruppo, della famiglia, dell’amat*: non c’è mai una “comunità” in senso sociale ma solo una sorta di familismo semmai allargato; non a caso il gruppo di Rick, i protagonisti della saga, parlano del loro gruppo come di una “famiglia” anche se pochissimi di loro sono realmente imparentati, e del loro rifugio come di “casa”. Il gruppo si difende a qualunque costo (non solo quello di Rick) anche compiendo assassinii assolutamente non accettati in una società pre-zombie.

Certo l’America delle armi diffuse è facilmente evocabile, ma onestamente non credo che la sceneggiatura si ispiri a questo; è in un certo senso vero il contrario: The Walking Dead si ispira (credo in buona parte inconsapevolmente) alle paure già descritte, esattamente come sono queste paure ad armare tante mani in America (ma non poche anche da noi) e a motivare i prepper; sono tutti epifenomeni dello stesso momento storico. Guardando l’insieme delle serie, tutte abbastanza attente al rispetto delle minoranze razziali, al politicamente corretto di genere, a un filino (mai eccessivo) di critica al bigottismo religioso, ci si accorge che in realtà non succede mai nulla: si vive fin che si può, raccattando cibo e munizioni che – come in un videogioco – bene o male non finiscono mai; si costruisce qualche riparo, si ammazza qualche zombi isolato, si fugge dalle mandrie numerose di morti, si sopraffà qualche comunità più piccola cercando di non farsi sopraffare da altre comunità, ostili per definizione. Come in un videogioco la trama è esile: vai in un posto, spari, prendi cibo; spari, vai in un altro posto, incontri qualcuno e forse dovrai ammazzarlo; dormi, cerchi cibo, vai in un altro posto e spari, spari, spari.

Il significato è assente, l’autoreferenzialità è totale. E questa è la vera Apocalisse.

L’Apocalisse zombie è la totale perdita del senso. Non c’è più futuro e ha cessato di esistere la Storia; non c’è più socialità nel senso che gli attribuiamo oggi, di costruzione di significati, di educazione collettiva, di condivisione di valori e conseguentemente di politiche; non ci sono scopi a parte il sopravvivere e il godere, eventualmente, di fugaci amori, di limitate amicizie, di sporadiche e drammatiche genitorialità. Non c’è più etica, perché la necessità di sopravvivere l’ha cancellata, e questo elemento, veramente centrale nella saga, è periodicamente ricordato dalla presenza di personaggi “buoni”, ispirati da un’etica ben precisa ma destinati alla sconfitta (come Eastman, quarto episodio della sesta stagione). Ebbene questa mancanza di senso è ciò che sempre più sembra contraddistinguere la società contemporanea, dove al grande affresco storico dello sviluppo, progresso, scienza e globalizzazione felice di cui ci potevamo sentire protagonisti si sta sostituendo il patchwork schizofrenico della crisi, del disastro ambientale, del terrorismo e delle mille incertezze che ci assalgono. In questo grande vuoto di senso siamo smarriti; in un certo qual modo siamo già dentro l’apocalisse, siamo già zombie.

Buona visione.

 

Claudio Bezzi

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