"Time after time" compie 37 anni: la versione di Miles Davis al Curi nel 1985 rimane indimenticabile

PERUGIA – Umbria Jazz si era appena ripresa dopo il blocco di tre anni, dal 1979 al 1981, per le conseguenze del clima che si era creato attorno al festival che, nato sulle orme dei grandi eventi come Woodstock con la musica simbolo della massima libertà e apertura, sfociò in breve in una caotica invasione di giovani, alcuni dei quali si sentirono autorizzati a condurre “espropri proletari”, termine che nobilitava ideologicamente il compimento di veri furti. Dopo tre anni di stop, quindi, Umbria Jazz riprese il via con una formula diversa rispetto al festival itinerante nelle piazze più belle dell’Umbria e completamente gratuito. Si stabilì definitivamente a Perugia eleggendo i Giardini del Frontone a main stage. Passarono appena altri tre anni e nel 1985 Umbria Jazz tentò il grande salto nell’idea di un festival che avrebbe contribuito a rendere il jazz popolare in Italia. Tutto questo per introdurre l’argomento di una cover, o forse meglio dire uno standard, che è entrato di diritto nella storia della musica e dello stesso jazz. Oggi, 29 febbraio, infatti “Time after Time” tra le canzoni che resero celebre Cyndi Lauper nel mondo e la sua immagine di ragazza ribelle da sempre impegnata nei diritti di libertà di orientamento sessuale  e nella strenua difesa delle comunità Lgtb, compie 37 anni. Con quello stesso brano, ma rivisitato in chiave fusion, Miles Davis, due anni più tardi nel 1985, coronò il primo concerto che Umbria Jazz svolse allo stadio Curi. Ne seguì un altro, due anni dopo, con l’indimenticabile duo Sting-Gil Evans e il ritorno dello stesso Miles. Quella dell’85 fu una data memorabile in cui il “divino” sfavillò una luccicante tromba rossa in compagnia di un giovane John Scofield alla chitarra, Bob Berg ai sassofoni, Bobby Irving alla tastiere, Steve Thornton alle percussioni, Darryl Jones al basso elettrico e Vincent Wilburn alla batteria. Time after time riecheggiò nell’aria del Curi, di fronte a circa diecimila spettatori, nel bel mezzo del concerto che aveva nel frattempo già raggiunto il climax adeguato per la fase di relax dopo la precedente di tension. E Miles, in grande forma, non si risparmiò nelle traiettorie sinuose della sua musica che fanno ampio riferimento al silenzio come elemento fluido del suo fraseggio, un tempo calmo, al di là dell’urgenza, che si associa perfettamente al suo senso innato del blues. Miles scende dal palco, passeggia con la sua tromba sul manto d’erba: indossa pantaloni e scarpe bianche, un “chiodo” nero e grandi occhiali per difendersi dai riflettori e forse anche per “racchiudersi” in se stesso, piegando le gambe e sporgendosi in avanti con il busto, una posizione “fetale” a cui ha abituato il suo pubblico, in un abbraccio con la sua inseparabile tromba. Momento dopo momento, time after time, si ebbe la sensazione condivisa di essere testimoni ad un evento magico, intenso, sublime. Come solo il grande Miles sapeva creare.
 

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