Tosca in concerto al teatro Morlacchi con Morabeza e una sorpresa annunciata per il pubblico perugino

PERUGIA – Morabeza in teatro World Tour è il titolo della tournée internazionale con cui Tosca presenta l’omonimo e fortunato suo ultimo album. Tosca e il suo quintetto con Giovanna Famulari violoncello, pianoforte e voce; Massimo De Lorenzi chitarra; Elisabetta Pasquale contrabbasso e voce; Luca Scorziello batteria e percussioni e Fabia Salvucci percussioni e voce, saranno a Perugia mercoledì 30 marzo (teatro Morlacchi) per una data nell’ambito della rassegna Tourné. Dell’album Morabeza e del suo tour mondiale parliamo insieme alla stessa Tosca.

Morabeza è la descrizione di uno stato d’animo tra nostalgia e allegria. Perché Morabeza?

“Morabeza è un termine di origine capoverdiana. Morabeza è quando si sta vivendo un momento intenso e nello stesso momento in cui lo stai vivendo, diventi consapevole che non lo vivrai più. E sono le emozioni forti che sono talmente belle che hai paura che questo non avvenga più. Quindi è quel misto di nostalgia e appagamento diverso dalla saudade brasiliana, un po’ drammatizzata, e anche dalla saudade portoghese che è dolore. Morabeza è – come dire – un upgrade, dentro c’è un misto di bellezza. I capoverdiani si accontentano, che è una grande qualità. Non hanno niente là e pensi che quando sono andata a Capoverde erano felici perché pioveva e non dimenticherò mai i bambini sotto l’acqua a bere la pioggia”.

Morabeza è un po’ un giro musicale del mondo, dal Portogallo, al Brasile e al Nordafrica, ma anche alla Francia…

“Nel disco c’è un po’ tutto. Morabeza in realtà è un punto di arrivo e anche un punto di partenza, come tutte le cose della mia vita che da sole si declinano. E’ dal 2014 che volevo fare questo stato dall’arte. Contaminavo, ricercavo, studiavo nelle varie musiche del mondo. Mi sono ritrovata con tanto materiale e volevo fare uno stato dell’arte perché dicevo che io me ne vado in giro del mondo ma non riuscivo trovare il bandolo della matassa. L’ho trovato invece con Ivano Fossati che mi scrisse “Il suono della voce”. Questa meraviglia diventò il cuore del mio progetto; raccontare le varie etnie con il suono della voce che ci permette di entrare dentro, con il suono che ci racconta da dove viene la musica- Quindi ho fatto questo disco. E questo disco ha cominciato a ricevere anche richieste internazionali. Da lì ho cominciato a portare in giro per il mondo la mia matrice italiana contaminata con altre lingue, un melting pot che ha prodotto una lingua, un esperanto musicale che si arricchisce in ogni Paese dove vado. E quindi è nato un documentario prima con il suono della voce di tutti gli artisti che ho incontrato dove si parla di musica e di cultura. La musica è un passepartout incredibile per entrare nel tessuto sociale di un Paese e ho scoperto cose incredibili: con il documentario ho anche vinto un Nastro d’argento e poi da lì è nato questo disco”.

Quindi questo lavoro è un continuo work in progress…

“Sicuramente alla fine dell’anno metteremo un punto. Perché ora dobbiamo ancora finire il tour italiano, poi andremo in Spagna, Francia, Portogallo. Siano appena tornati dall’Algeria, siamo andati a Dubai e ad Abu Dabi, andremo in Brasile. Però è un work in progress anche interiore. L’altra sera sul palco di Algeri, ad esempio, ho fatto un duetto che un artista algerino che molto probabilmente riproporrò da qualche altra parte”.

Quindi un work in progress interiore, ma anche fisico…

“Sì, di data in data. Quando verrò a Perugia, noi stiamo pensando a qualcosa per voi. Noi dovunque andiamo portiamo un regalo, come fanno i brasiliani. I brasiliani portano i regali sonori che è un onorare, quindi stiamo pensando a quale regalo portare”.

Non chiedo oltre, perché immagino vorrete fare una sorpresa”.

“Esatto”.

La sua musica evoca visioni, sogni di altrove. Ferzan Ozpetek con la sua videoclip forse è riuscito a interpretare bene questa visione con riferimenti a Edward Hopper e alla sua pittura del silenzio…

“E’ stata un cosa incredibile, quasi premonitrice, quando non era ancora iniziata la pandemia. Abbiamo preso un teatro vuoto, e dopo dieci giorni arrivò la pandemia e noi che ci siamo trovati a rappresentare il simbolo di quello che poi sarebbe successo da lì a due anni, di questo dolore, dell’incomunicabilità: un grido ancora più forte di un pubblico lì davanti. Per noi è stato un segnale fortissimo, ma anche molto doloroso”.

Le musiche sono intimiste, teatrali: violoncello, chitarra acustica, pianoforte, voci…

“Tutto olio di gomito – dice Tosca ridendo – Non ci cono sequenze, è una forza autentica. Ma che poi rappresenta un po’ l’unica maniera che hai per far sentire il tuo suono. Detesto tutto ciò che è omologato, mi piace l’unicità”.

“Ho amato tutto”, il brano classificato sesto a Sanremo del 2020 e special track dell’album “Morabeza”. Lei che canta, come dicevamo, in un teatro vuoto. Forse i teatri si riempiranno, forse ora che la minaccia della pandemia sembra allontanarsi. Ora però i teatri pieni di persone che cercano un rifugio sicuro vengono bombardati…

“Il teatro è un simbolo molto importante, il teatro che simboleggia la cultura. Oltre a colpire il bene immobile e minacciare la vita delle persone, c’è da tener conto che un teatro ha un respiro suo, una storia; dentro ci sono state tutte le anime degli artisti. Pensi che durante la guerra di indipendenza, siccome c’era la censura, gli artisti presentavano i copioni, ma in scena cambiavano le parole. Durante la rivoluzione di Garibaldi, una donna abruzzese, Giannina Milli, attraverso le sue poesie comunicava ai garibaldini come agire e quel che stava accadendo. Si è salvata solo perché era una grandissima personalità del suo tempo. Questo dimostra quanto la cultura sia pericolosa. Il teatro non è un obiettivo a caso, è un obiettivo che annulla la possibilità di riunirsi e soprattutto non ci si deve riunire pensando che tutto sia facile. L’apertura della mente è proibita”.

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