Travaglio d’amore, tre artiste al lavoro per cambiare il mondo: Letizia Battaglia, Loredana Longo e Maria Marshall

CITTA’ DELLA PIEVE – Difficilmente capita, ma ci sono titoli, in questo caso di mostre, che calzano perfettamente con quelli di giornale. Perché nel concetto di “travaglio” c’è il senso di questo allestimento tutto al femminile e del parto creativo legato alle arti, mentre nell’iperbole “cambiare il mondo” una ironica provocazione che ricorda da vicino quello che diceva Lev Tolstoj: “Tutti pensano a cambiare il mondo, ma nessuno  a cambiare se stesso”. In più c’è anche una immagine in bianco e nero calzante, connotativa, commovente: è la foto del manifesto dell’esposizione che vedete qui a fianco. Ritrae Rosaria Schifani, vedova dell’agente di scorta Vito, ucciso nella strage di Capaci. A scattarla una delle tre artiste protagoniste dell’allestimento: Letizia Battaglia.

 

Sarà possibile visitare la mostra fino al 7 gennaio a Città della Pieve, a Palazzo della Corgna.  A farci vivere il “travaglio d’amore”, oltre a Letizia Battaglia, sono Loredana Longo e Maria Marshall.

Letizia Battaglia

 

Loredana Longo

 

Maria Marshall

L’allestimento è organizzato e prodotto da E.R.A., acronimo che una volta disvelato dice molto se non tutto: Ecosostenibilità, Ricerca, Arte.  Importante il sostegno del Comune di Città della Pieve, come quelli della galleria FPAC – Francesco Pantaleone Arte Contemporanea e dell’Archivio Letizia Battaglia.
In mostra una trentina di opere tra fotografie, film, installazioni e video che raccontano come le tre artiste abbiano affrontato il tema della potenza dell’amore, e della sua mancanza, come punto di partenza per una riflessione di rinascita e riscatto.
L’esposizione è curata da Adina Drinceanu, curatrice e consulente culturale.

Adina Drinceanu

Nata in Romania, è   cofondatrice di E.R.A. Ha curato mostre in Italia, Regno Unito e Romania. Si è formata inizialmente come artista all’Accademia  di Belle Arti di Perugia, poi ha ottenuto un master alla Manchester  University nel Regno Unito.
Con lei parliamo di questa singolare mostra e, come nostra consuetudine, di altro ancora.
– Partiamo dal titolo così significante ma anche sfrontatamente ambizioso?  
Tanto ambizioso quanto giocoso, auto ironico, che spinge a chiedersi: ce la faranno davvero queste tre artiste? Ce la può fare l’arte?  L’altro aspetto si ispira al principio partire da sé, elaborato da Luisa Muraro e dalle teoriche femministe della comunità filosofica Diotima.

– Ne parliamo un attimo di Diotima?
Sinteticamente è una comunità filosofica femminile che prende il nome dalla donna che Platone nel Simposio introduce come maestra di Socrate sul concetto dell’Eros.
L’associazione è nata all’Università di Verona, alcune erano interne all’ateneo, altre esterne, tutte sentivano l’amore per la filosofia e il legame con il pensiero e la politica del movimento delle donne. Riferimenti principali erano la riflessione filosofica di Luce Irigaray e l’esperienza teorica e pratica della Libreria delle donne di Milano.
“Fare diotima” significa fare attività le più varie e altrettanto essenziali: la cura per le relazioni, innanzitutto, che mira a trasformare gli individui in agenti attivi di cambiamento, sfidando le oppressioni e le ideologie teorie preesistenti, mentre tutto si  dovrebbe basare sul proprio processo di conoscenza e comprensione e sulle esperienze personali al fine di promuovere la giustizia sociale tramite il dialogo e l’azione collettiva.
– Veniamo all’allestimento e alle tre protagoniste. Iniziamo dal manifesto.

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Le sue fotografie colpiscono per la sensibilità che mostrano: ti lasciano immaginare tutto quel sapere che che incapsulato all’interno dello scatto. Mi sono avvicinata alla sua storia, alla sua vita. L’ho anche conosciuta a Palermo durante una manifestazione; una donna incredibile, di una forza incredibile: con le sue foto può essere dura ma anche molto dolce, come dimostra il volto ritratto di Rosaria Schifani.  Di Battaglia sono stati selezionati 17 scatti scelti tra le fotografie più intime che si riferiscono agli anni ’80 e ’90, audaci narrazioni foto giornalistiche che hanno messo in luce alcuni aspetti oscuri della violenza legati a tematiche mafiose, opere in cui l’amore viene mostrato come forma di resistenza, catturando momenti di tenerezza, vulnerabilità, dolore e leggerezza.
– Loredana Longo?Nella monumentale installazione ‘Capitonnè SkinWall’ del 2020  emerge il suo  amore per il proprio corpo che diventa un riflesso dei conflitti sociali e personali.
– E Maria Marshall?
L’artista inglese-svizzera Maria Marshall, attingendo alla sua esperienza di maternità e alla depressione post-partum, indaga i temi dell’innocenza e dell’identità attraverso immagini oniriche realizzate grazie ad alcune illusioni digitali. Nell’installazione video ‘I Can See the Wood for the Trees’ (Vedo il bosco nonostante gli alberi), l’artista evoca la forza della maternità come strumento di resistenza e denuncia contro la violenza della guerra e quella contro la natura.
– Durante l’esposizione ci sono stati laboratori e visite guidate. Come è andata?
Sì. ad esempio abbiamo coinvolto i liceali di Città della Pieve. E’ stata una storica dell’arte, Rebecca Rinalducci, a curare più che una visita, un dialogo, un confronto con i ragazzi, a partire anche dagli affreschi che ci sono a Palazzo della Corgna per passare poi alle opere esposte. E’ evidente che lo spunto delle fotografie di Letizia Battaglia è stato utile a connotare non solo la violenza della mafia ma anche il periodo storico degli anni di piombo.  Con i laboratori si è lavorato molto sulla parola, su cosa può evocare e far pensare, fino a tradursi in conversazione che si è incentrata sul concetto di amore  e delle sue forme di declinazione come mostrano le tre artiste con le opere.
– Amore che stride violentemente  con l’attualità, con i femminicidi…
Questa è la mostra del dialogo, non è delle donne per le donne o destinata  ai  maschi. E’ per tutti. A partire da se stessi.

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