Trebisonda, trenta anni di vita per l'arte contemporanea

PERUGIA – La cultura nasce, cresce e si alimenta non solo nelle metropoli. Anche in provincia si fa cultura e molto spesso anche bene. Basta solo non essere provinciali. E il Centro d’arte contemporanea Trebisonda, fin dalla sua origine, non è stato certamente provinciale. Non lo è stato per come ha prima ideato ed impostato e poi proseguito il suo lavoro in trenta anni di vita.
Era infatti il 1989 quando alcuni artisti, ex studenti dell’Accademia perugina di belle arti, hanno sentito forte l’esigenza di creare un loro proprio universo artistico – nascosto quindi dietro una associazione “privata” di arti visive per attività artistiche sull’idea del Kunsteverein tedesco -, denominata appunto Trebisonda, per allestire mostre, autopromuoversi, realizzare scambi anche con altri artisti italiani e internazionali. Dal 2001 arriva poi lo spazio, in via Bramante a Perugia, con l’attività che ha quindi trovato da allora una sede ufficiale dove nel tempo si sono susseguite mostre e convegni ed intrecciati rapporti tra artisti e amanti del mondo dell’arte.
Un sorta di “polo pulsante” che mantiene in vita la possibilità del manifestarsi dell’arte. È questo, in sostanza, e se si deve descrivere con poche parole, il Centro per l’arte contemporanea Trebisonda. Uno dei luoghi del contemporaneo principali di Perugia, della regione e non solo.
Trebisonda propone quindi da trent’anni esposizioni, eventi e scambi culturali internazionali, rivolgendosi prevalentemente alle produzioni legate alle arti visive. Lo spazio del Centro vuole creare ancora oggi, attraverso la sua programmazione, una rete che unisca artisti, curatori e operatori culturali promuovendo un’indagine sulle forme interdisciplinari del contemporaneo. Oltre alle mostre, vengono ospitate rassegne di arti performative e cicli di seminari.
Le mostre quindi sia all’interno dello spazio e sia quelle che Trebisonda organizza in altre città in Italia e all’estero descrivono al meglio la missione dell’associazione, cioè quella di raccogliere le energie che altrimenti si disperderebbero (nella sede di Perugia) e promuovere l’attività culturale altrove (mostre sul territorio nazionale e internazionale).
Trebisonda come luogo fisico, quindi, ma soprattutto anche come un sistema di relazioni, rapporti, di attività, scambi, discussione. E tutto questo è stato possibile crearlo in una città come Perugia in cui si sente sempre forte la necessità di avere una realtà di questo tipo per chi, soprattutto in uscita dall’accademia, cerca poi un polo di riferimento per continuare lo studio, la ricerca, lo scambio di idee. Trebisonda ha colmato a Perugia questo vuoto in trenta anni di vita, essendo infatti ancora oggi l’unico luogo di aggregazione e discussione sui temi dell’arte contemporanea in città.
Perugia che senza dubbio è sempre stata una città ricca di attività e di azioni riguardanti l’arte visiva, sonora, drammaturgica. Non possiamo però dimenticare che per le arti visive ci sono stati da sempre periodi anche lunghi di interruzione, delle difficoltà ad affermare un linguaggio innovativo perché la città ha comunque un retroterra storico molto forte che penalizza chi lavora con la contemporaneità. Aspetto che quindi si è sempre manifestato nel corso del tempo. L’ambito delle arti contemporanee è poco esercitato anche perché dal punto di vista istituzionale c’è poca attenzione ai giovani che arrivano in questa città per fare arte. Chi arriva a Perugia trova sì una bella realtà di scuole, accademie, musei vari ma non trova quel terreno fertile che serve per alimentare e far crescere una passione. C’è insomma un innegabile “genius loci” a livello artistico ma che va alimentato. Ed è stata sempre questa la principale criticità.
In questo ambiente però Trebisonda è invece proprio quello che ci vuole: una sede dove gli artisti possono riunirsi, mostrarsi e discutere. Ed ora per certificare tutta questa storia è stato realizzato un documentario. Un omaggio, in forma di immagini video, dopo tre decadi di vita era quasi necessario se non doveroso. Ecco allora che da un’idea dell’artista Benedetta Galli, in occasione dei trenta anni di attività dell’associazione, è stato pensato di raccontare questo progetto multiforme attraverso un film-documentario “Trebisonda 3.0” presentato di recente durante una serata al cinema PostModernissimo. Per la regia di Matteo Fiorucci – figlio trentenne di uno dei fondatori Danilo Fiorucci e alla sua prima prova da regista – con i contributi dei professori Bruno Corà, Aldo Iori, Giorgio Bonomi, e le  immagini delle mostre, dei volti, degli artisti, si è narrata così la vita di un luogo e di persone che, nel tempo, è divenuta “storia rilevante”.
Questo lavoro non è una sterile elencazione delle centinaia di iniziative presentate o prodotte, ma un tentativo di “rimandare” un’atmosfera in grado di confermare l’incipit dell’associazione, nell’alveo del pensiero beuysiano di “Scultura Sociale”. In questo percorso i fondatori – Danilo Fiorucci, Robert Lang, Lucilla Ragni (senza dimenticare il contributo di Moreno Barboni, allora fresco di studi al nuovo Dams di Bologna, per aver portato uno sguardo oltre le arti visive “tradizionali”, materie trent’anni fa ancora tabù per gli artisti umbri e per la vetusta Accademia di belle arti di Perugia) -, i curatori, gli amanti dell’arte e soprattutto gli artisti, hanno intessuto dei rapporti professionali, stretto amicizie, scambiato e confrontato le idee, stimolato gli studenti dell’Accademia, incuriosito e provocato la comunità.

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