PERUGIA – L’Umbria del 2024 appare come una regione sospesa, con un’economia che cresce solo nominalmente e che, una volta depurata dall’inflazione, resta immobile. È quanto emerge dall’analisi del Centro Studi Tagliacarne e Unioncamere, basata sull’ultima revisione della contabilità nazionale dell’Istat diffusa a settembre e integrata con l’elaborazione dei dati regionali curata dalla Camera di Commercio dell’Umbria.
La crescita del valore aggiunto a valori correnti si ferma allo 0,99%, un dato che pone l’Umbria al penultimo posto in Italia, seguita solo dall’Emilia-Romagna (+0,95%). Se si considera l’inflazione media regionale, stimata attorno allo 0,9%, il segno positivo scompare: in termini reali, la regione non cresce. Il confronto con la media nazionale è negativo: l’Italia, pur rallentata, segna un incremento reale dell’1,14%, confermando un divario a sfavore dell’Umbria che tende ad allargarsi.
A livello strutturale, il dato più preoccupante riguarda la tenuta complessiva del sistema produttivo, ormai polarizzato tra comparti deboli e nicchie vitali. Con un valore aggiunto pro capite di 28.030 euro, pari all’84,1% della media nazionale (33.347 euro), l’Umbria perde ulteriore terreno: non è più il ponte tra Centro e Sud, ma una terra di mezzo sempre più spinta verso la seconda metà della classifica. L’Abruzzo ha ormai consolidato il sorpasso e la distanza dell’Umbria dal Centro-Nord si amplia.
Industria in crisi profonda. Terni ultima in Italia per andamento
Il crollo dell’industria manifatturiera è il principale responsabile della frenata. Nel 2024 il settore registra un calo dell’8,08%, il peggiore dato d’Italia. L’Umbria, tradizionalmente legata alla manifattura, vede restringersi il perimetro produttivo senza che si intravedano controtendenze significative.
Il quadro provinciale accentua il pessimismo: Terni è ultima tra le 107 province italiane, con un drammatico -10,45% del valore aggiunto industriale, mentre Perugia è quartultima (-7,53%). Una perdita di capacità competitiva che non si spiega solo con il ciclo congiunturale, ma con un indebolimento strutturale delle filiere, dell’innovazione e degli investimenti.
Agricoltura e turismo tengono in piedi la regione
In un contesto di stagnazione l’agricoltura si rivela invece un pilastro di resilienza. Il settore cresce del 13,64%, oltre tre punti percentuali sopra la media nazionale, e si colloca tra i migliori risultati in Italia. A livello provinciale, Terni sale al 26° posto (+18,75%), mentre Perugia è 53ª (+11,38%), a conferma di un comparto che, pur piccolo, continua a modernizzarsi e a sfruttare la spinta dell’agroalimentare di qualità e del turismo rurale.
Buoni segnali anche dai servizi legati a commercio, trasporti, alloggio e ristorazione, che crescono del 3,3%, perfettamente in linea con la media nazionale (+3,15%) e superiore a quella del Centro Italia (+2,86%). In particolare, il turismo mostra una sorprendente capacità di tenuta, sostenuto da un’offerta culturale diffusa e da un posizionamento territoriale sempre più attrattivo.
Meno brillante rispetto alla media nazionale ma comunque interessante, invece, la dinamica dei servizi professionali, finanziari e immobiliari, che avanzano del 4,06%, un punto in meno rispetto alla media italiana (+5,02%), segno che l’Umbria continua a soffrire la carenza di competenze specialistiche e di investimenti nei servizi avanzati.
Terni prima in Italia nella pubblica amministrazione
Se l’industria arretra, il settore pubblico mostra un volto decisamente più dinamico. Nel comparto che comprende pubblica amministrazione, sanità, istruzione e attività culturali e di intrattenimento, l’Umbria mette a segno un risultato positivo (+3,84%), superiore alla media nazionale (+2,94%).
A livello provinciale, la sorpresa è Terni: prima in Italia tra le 107 province, con un aumento del 4,88% del valore aggiunto, mentre Perugia si piazza al 28° posto (+3,5%). Un risultato che si lega alla forte presenza di strutture pubbliche e alla vivacità del tessuto culturale locale. La Camera di Commercio dell’Umbria ha del resto documentato come la regione sia la prima in Italia per numero di attività culturali e spettacoli in rapporto alla popolazione, un elemento che contribuisce alla coesione sociale e all’attrattività turistica.
Costruzioni in calo, segnali deboli dai servizi
Tra i comparti più in difficoltà figurano anche le costruzioni, che in Umbria segnano un arretramento del 6%, secondo peggior risultato nazionale dopo il Molise (-11,3%). Terni precipita al terzultimo posto con -8,79%, mentre Perugia si ferma al 95° (-4,03%).
Commercio e turismo rappresentano invece i motori che impediscono una contrazione più severa: Terni cresce del 3,43% e Perugia del 3,26%, valori in linea con il resto del Paese, confermando la capacità di questi settori di mantenere viva l’economia regionale.
Un sistema che galleggia, ma non corre
Nel complesso, il 2024 consegna l’immagine di un’Umbria che cresce poco e male. Il valore aggiunto aumenta nominalmente, ma l’inflazione ne annulla gli effetti reali. L’industria arretra, l’agricoltura avanza, i servizi tengono ma non trainano. È un’economia che si regge sull’equilibrio instabile di comparti tradizionali e attività di sostegno, dove la mancanza di innovazione e di spinta produttiva pesa sempre di più.
Senza un rilancio del settore manifatturiero e un salto di qualità nei servizi ad alto valore aggiunto, la regione rischia di restare ai margini della ripresa nazionale.
La dichiarazione:
Giorgio Mencaroni, presidente della Camera di Commercio dell’Umbria: “La crisi strutturale dell’economia umbra non è un fenomeno recente, ma un processo lungo, che oggi trova una nuova conferma nei dati sul valore aggiunto. Il fatto che la nostra regione sia stata inserita nella Zona Economica Speciale unica, insieme alle Marche, è un segnale della difficoltà, ma anche un’opportunità da cogliere con decisione. Le Zes nascono per favorire investimenti e crescita nelle aree in ritardo, e l’Umbria può e deve sfruttare questa condizione per rilanciarsi. Come Camera di Commercio siamo impegnati nell’accompagnare le imprese nella doppia transizione, economica ed ecologica, sostenendo la digitalizzazione, la formazione e l’innovazione. Perché solo attraverso un aumento della produttività reale e una maggiore capacità di attrarre capitali e competenze l’Umbria potrà tornare a crescere in modo stabile, rafforzando il suo tessuto economico-produttivo e, di conseguenza, anche sociale”.


