Una graphic novel su Charlie Mingus per tradurre in segni l’epopea di un genio

PERUGIA – Perché Mingus? Perché Mingus è oltre, perché è pura emozione ingabbiata nel dualismo degli opposti: dolce, fluida e sensuale o ruvida, spigolosa e rabbiosa. Ce ne sono di spunti per fare della vita di Mingus un’opera d’arte traslando un’esistenza ai limiti in un segno riconoscibile, grafia di abissi ed estasi, metastoria di iperboli di eccesso. Oltre i limiti, della musica, dell’identità, del ruoli. E’ così che dalla cavata possente e unica che dettava il tempo di gioia o di lotta, è nato un fumetto con Flavio Massarutto ai testi e Squaz ai disegni che segna con dovizia di particolari le continue morti e rinascite di un genio che fu capace di scatenare risse per irrisioni razziali nei suoi confronti e che nato in una famiglia di musicisti non poteva, lui nero, che scoprirsi “schiaffeggiatore” di strumenti. No, la viola con cui si approcciò alla musica, non era per lui, né il trombone nella schiera dei front men. Lei era il regista quasi dietro le quinte che dettava i tempi di buio e tempesta o di luminescenti primavere. La ispirò direttamente la primavera di una nuova musica, ribellandosi e contrapponendosi ai pregiudizi: fu tra gli artefici della nuova stagione del free jazz e se dio non volle ospitarlo al festival di Newport, lui reagì all’istante e organizzò un controfestival con i fratelli neri. Da tutto questo è nata la graphic novel che ripercorre alcuni passaggi salienti dell’autobiografia di Mingus “Beneath the Underdog”, da noi tradotta come “Peggio di un bastardo”. Guizzando tra i falò accesi dalla creatività mingusiana ora tenera da bimbo amoroso e ora disperatamente irritata – scrive Ferruccio Giromini su Artribune – il binomio Massarutto-Squaz compone un graphic novel che è narrazione e un po’ saggio e insieme qualcosa in più: non l’ennesima facile e sintetica biografuccia fumettata, ma un’accurata e accorata compartecipazione sentimentale che mette in fila alcuni episodi significativi come fossero altrettanti brani di un long playing, rigorosamente in vinile, possibile best of, o forse meglio concept album, illuminante di una intera carriera, artistica ed esistenziale”. Il Mingus irrequieto e incendiario, il Mingus che oltrepassa i limiti degli schemi mentali e musicali sa che così non potrà durare a lungo e da regista che detta i tempi della ribellione e dell’eccesso, sparisce tra le sue oscure quinte, per riapparire nel 1971 più ironico e graffiante che mai. Raggiunge l’apice e poi cede alla sua malattia che lo costringe su una sedia a rotelle. L’apoteosi di una vita da “incazzato” è compiuta, non senza aver lasciato ai posteri alcuni capolavori di cui rimarrà lunghissima memoria e che ancora oggi ispirano chi si avventura sulla strada del jazz: “Pithecanthrepus Erectus”, “Fables of Faubus”, “Blues and Roots”, “Goodbye Porkpie Hat”. Ironia e sarcasmo all’ennesima potenza, creatività e rabbia, coscienza identitaria e parossismo: disegnare è anche interpretare e Squaz non si risparmia nel trovare sintesi grafica al turbinio di emozioni della vita di Mingus: riuscire a coinvolgere lo spettatore della sua sintesi è quanto di meglio gli riesce, grazie all’apporto fondamentale di Massarutto e di chi ha creduto in loro: l’editrice di fumetti Coconino Press.

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