Vanni Capoccia: le scalette della Canapina e l’occasione mancata

Riceviamo e volentieri pubblichiamo questa riflessione di Vanni Capoccia dedicata ai lavori che hanno interessato una zona della città di Perugia, ovvero le scalette della Canapina. Vanni Capoccia parla esplicitamente di un’occasione mancata in quanto si sarebbe potuto e dovuto prevedere l’accesso per tutti, eliminando le barriere architettoniche che il concetto di “scala” di per sé comporta.

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Le scalette della Canapina 

(La bellezza è una categoria etica almeno quanto è estetica)

di Vanni Capoccia

La curiosità mi ha spinto fino alle “scalette della Canapina” di Perugia per vedere la loro nuova sistemazione che, al di là dell’apparenza, mi è sembrata un progetto poco ambizioso. Perché nel rifare una barriera architettonica come delle scalette l’ambizione deve spingere – prima di tutto – a impedirgli di continuare a esserlo consentendo il loro superamento a chi si muove in carrozzina, a un genitore che spinge il passeggino, a un cieco o un ipovedente, agli anziani.

Invece una carrozzina non ci potrà transitare, un cieco o un ipovedente non sentiranno sotto i piedi le strisce zigrinate che gli facilitano l’andare e non c’è nemmeno un passamano cui possano appoggiarsi anziane e anziani.

Tenere conto di questo anche se ad avere tale difficoltà saranno poche persone all’anno è una questione di civiltà, di etica e di bellezza. Non a caso a proposito di questi due ultimi valori Tomaso Montanari in un suo recente scritto invita a ricordare “che la bellezza è una categoria etica almeno quanto è estetica”.

Le cose, specialmente se pubbliche, per essere belle devono avere una loro moralità. E in un luogo austero e di basso profilo persino nei nomi popolari “il Campaccio”, “la Canapina” che ha, nel quale s’incontrano medioevo e muro etrusco ci voleva meno retorica ricordando che si dovevano semplicemente rifare le “scalette della Canapina” tenendo conto dei bisogni dei più fragili.

Esaltando, questo sì, il contesto facendo quindi in modo che chi passa senta il desiderio di alzare lo sguardo in alto verso le pietre etrusche, l’abside di san Benedetto, l’ingegneria novecentesca del contrafforte metallico di Mastrodicasa senza essere distratto da tutto quel marmo bianco in basso.

Semplicità, meno enfasi, sottrazione, meno ego, evocare senza strafare, attenzione ai più  deboli sono valori che rendono belle le cose specie quando si trovano in un luogo defilato come il “Campaccio” e “la Canapina”, storicamente ed evocativamente custode di infinite sottili suggestioni.

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