Addio Alberto Sironi. Perché ci mancherai

PERUGIA – Lo avevamo cercato attraverso sua moglie, Lucia Fiumi con la quale ha scritto una bella storia d’amore, dopo la brutta notizia della morte di Camilleri sapendo che se fossimo riusciti a contattarlo, ci avrebbe risposto. Non stava bene, però, Alberto Sironi. Vista la gentilezza che ci aveva mostrato in un precedente incontro nella sua casa ai piedi di Assisi,  avevamo compreso pienamente che parlarci in quel momento doveva essere al di sopra delle sue forze.  L’avessimo saputo non avremmo disturbato. Già, perché il senso del rispetto è il sentimento che ti ispirano quelli che valgono. E in quell’incontro con grande semplicità  e signorilità, Sironi ce lo aveva raccontato. A iniziare dalla gratitudine per quel professore di provincia che gli aveva fatto conoscere il teatro da liceale per poi portarlo, in qualche modo, fino al Piccolo di Giorgio Strehler. È proprio lì, il giovane Sironi, si era messo su un palchetto a osservare le prove. C’era tornato, perché non visto, il giorno a seguire e poi ancora e ancora fino a quando Strehler decise che era arrivato il momento di smascherarlo: “Che ci fai lassù? Chi sei? Vammi a prendere un’aranciata”. Alberto Sironi, in quel momento, era stato invitato a bere pienamente alla fonte dell’arte. Era stato premiato per il suo rispetto, meritava dopo tanta umiltà quell’incontro al quale altri sarebbero seguiti, a partire dai mitici tempi della Rai avvinghiato al genio dell’amico Beppe Viola e alla comune passione per le inchieste giornalistiche. Merito del talento di saper leggere le cose: autentico, diretto, orgogliosamente popolare, capace di mettere dentro la cinepresa le cose che prima di tutto devono convincere te stesso per poterle dare con credibilità agli altri. Questione di etica. Per questo quel giorno che lo incontrammo più che spiegarci il segreto del successo di Montalbano, era partito dal suo desiderio di tornare in Sicilia e in luoghi straordinari in cui lavorare, di musiche giuste per dettare i ritmi di quei posti, del piacere di ritrovare amici-attori capaci di leggere tra le righe il magnifico narratore Camilleri, vero, esigente e intransigente che pure nella sopraggiunta cecità capiva semplicemente dal tono se il tutto era giusto. O no.
Gli chiedemmo se, professionalmente, aveva un sogno nel cassetto. Lo attraeva ancora lo sport. Aveva già raccontato alla sua maniera Fausto Coppi. Nel calcio, nel suo mondo del pallone, c’era però Mariolino Corso, il piede sinistro di Dio. “Frequentava a Milano la mia stessa osteria. Arrivava – ci raccontò- con la madre, si mettevano sempre allo stesso tavolino. Mangiavano e c’era un litro di buon rosso che bevevano con piacere. Poi lui, a distanza di poche ore, scendeva in campo e stupiva il mondo”. Sironi se ne è andato a 79 anni consapevole di aver raccontato le cose vere perché gli uomini veri andava cercando per lavorare come avrebbe voluto. Professionalità. Umanità. Visione. Non era solo Montalbano, insomma, ma pochi come lui lo avrebbero potuto raccontare. Un destino strano, a pensarci bene, lega autore e regista in una sorta di puntata finale nel palinsesto di una estate triste. La cosa amara è che tutti sappiamo perfettamente che avevano ancora molto da dirci. La cosa bella è che in qualche modo, in qualche forma continueranno a dircela.

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