Il futurismo visionario e spirituale di una delle poche donne che aderirono al movimento di Marinetti: Leandra Angelucci Cominazzini

SAN GEMINI – Scrittore, attore, Domenico Cialfi ha prestato la sua voce per offrire un aspetto meno conosciuto di Leandra Angelucci Cominazzini, artista futurista, ma anche poetessa, di cui si ricordano i 40 anni dalla scomparsa con una duplice mostra. A San Gemini, in occasione della Giostra dell’Arme e nel solco della tradizione di antologiche sulle eccellenze dell’arte umbra e non soltanto, da Burri, a Dottori e a Leoncillo, solo per citarne alcuni, a Leandra Angelucci Cominazzini è dedicata l’attenzione che merita una delle pochissime donne futuriste.

Nell’ambito della Giostra 2021 che ha scelto come tema Dante nel settimo centenario della morte con il suo “A riveder le stelle” beneaugurante al termine della lunga parentesi della pandemia, il borgo ternano ristabilisce così  con Massimo Duranti, la figlia Francesca, Andrea Baffoni e Antonella Pesola quel quadro di temperie culturale, sociale, individuale e artistica in cui Leandra Angelucci a cui volle aggiungere anche il cognome del marito Cominazzini si trovò a vivere. Leandra nasce in ambiente borghese della Foligno di fine Ottocento-inizio del secolo breve. Naturalmente vocata all’arte ne pratica varie forme, ceramica, tessitura, lambisce spesso l’esotismo. Ma è con il brevetto degli arazzi spellani “Arazzo Hispellum” che riesce a farsi notare e a raggiungere anche un certo successo commerciale.  L’Arazzo Hispellum in realtà non è altro che una forma di riciclo di una tecnica che Leandra acquisì in loco dalle donne spellane che riutilizzavano vecchi stracci e materiali di scarto e ne ricavavano tessuti da elaborare in nuove forme tra cui appunto gli arazzi. Intanto cominciava a farsi largo nel mondo dell’arte l’innovatività del Futurismo, con la voglia di rifondare un mondo nuovo, moderno e di estrema rottura con il passato. Leandra vi aderisce con entusiasmo, affermandosi come una delle pochissime donne futuriste insieme alla moglie di Marinetti, Benedetta di cui diventerà intima amica che a sua volta era allieva di Giacomo Balla. Accolta da Marinetti, partecipò per tutti gli anni Trenta e primi Quaranta, a Biennali di Venezia, Quadriennali di Roma e molte altre mostre col gruppo futurista. Ma prima ancora di trasferirsi a Roma con il marito, Leandra appassionata d’arte, tentò persino l’accesso all’Accademia di Belle arti di Perugia, cosa che le fu vietata, inadatta per una donna secondo la morale del tempo. Roma le aprì gli occhi e cominciò a respirare il nuovo vento del Futurismo e negli anni Trenta vi aderisce. Fu dapprima suggestionata dall’aeropittura di Gerardo Dottori, ma solo un paio delle sue opere riprendono i temi dottoriani; ben presto invece percorre un distacco dalla fisicità, per trovarsi in un corpo astrale e spirituale in contatto con le forze dei pianeti e del cosmo e dei satelliti, oltre ad essere attratta dal misticismo. Oracolare e preveggente dipinge nel 1944 gli astronauti e preannuncia in un suo dipinto un’esplosione atomica. La mostra allestita a Palazzo Vecchio a San Gemini sino al 10 ottobre rappresenta il preludio di quella più ampia che a novembre verrà allestita a Palazzo Trinci a Foligno, ma allo stesso tempo offre l’occasione di approcciarsi all’arte di Leandra Angelucci Cominazzini in tutto il suo excursus artistico. Oltre ai dipinti futuristi a Palazzo Vecchio, infatti, la mostra offre un ricco spaccato sulla produzione altra di Leandra a Palazzo Santacroce, Galleria degli affreschi-Grand Hotel San Gemini.

Curata da Massimo Duranti (che nel 1983 curò la prima antologica e la monografia con E. Crispolti), e da Andrea Baffoni, coordinata da Piero Zannori,  sostenuta da Regione Umbria, Fondazione Cassa di Risparmio di Terni e altri soggetti privati, la mostra è corredata da un catalogo con testi, oltre che dei curatori, di Domenico Cialfi, Emanuela Cecconelli, Lucia Bertoglio, Giuseppe Angelucci, Flaminia Angelucci e Marta Angelucci,   la riproduzione di tutte le opere esposte a San Gemini e Foligno e ampi apparati di Antonella Pesola  con un’inedita cronologia e un’aggiornata bibliografia.

 

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