Il primo contributo alla nostra inchiesta sulla riapertura dei teatri in Umbria, arriva da Massimiliano Burini, della Compagnia Occhisulmondo, regista, attore e drammaturgo.

di Massimiliano Burini

La falsa partenza nelle discipline sportive, è una partenza compiuta dall’atleta antecedentemente al colpo di pistola sparato dall’arbitro oppure al segnale di via.
Il colpo di pistola per lo spettacolo dal vivo è stato sparato, ma gli atleti in gara non erano pronti, qualcuno di loro non era nemmeno arrivato ai blocchi di partenza. Metafora a parte, quello che è chiaro è la totale perdita di visione da parte del governo sulla reale situazione in cui si trovava prima del covid19 e sopratutto dopo il suo passaggio, il settore dello spettacolo dal vivo.
I teatri pubblici, quelli per intenderci sostenuti dallo Stato e dalle Regioni, sono stati graziati, mi si consenta il termine, da una manovra del Fus ( Fondo Unico per lo Spettacolo) che  garantirà loro l’ 80% del contributo assegnato per l’anno 2020, da non rendicontare, quindi libero da ogni impegno previsto, e solo un 20 % da rendicontare per l’anno in corso. Gli spettacoli programmati, dove possibile, verranno spostati nelle stagioni a venire rendendo per molti lavoratori il 2020 (e parte del 2021), un anno di stop forzato. Ma il teatro, la danza, la musica in Italia non si svolgono solo nei teatri pubblici, ma anche e direi soprattutto in quelli privati, gestiti cioè da imprese culturali alcune sostenute in parte, altre senza nessun tipo di finanziamento pubblico. Nel nostro paese ci sono circa 1250 teatri operativi, di questi circa 750 non hanno alcun sostegno dallo Stato. 
Dal 15 giugno alcune imprese di spettacolo dal vivo riapriranno, a modalità o trazione ridotta, optando per spettacoli strutturalmente più semplici, che comprimeranno l’offerta, la distribuzione del lavoro, e la circuitazione. Abbiamo ancora protocolli sanitari  parziali e regionali che non ci spiegano, se non per linee teoriche generali di profilassi, come nella pratica provare, allestire o replicare uno spettacolo dal vivo. Non c’è una regola. E’ chiaro ed evidente da ciò, che la ripartenza non sarà né rapida, né paritaria, né certa. 
Tutto questo, considerando anche gli ingressi contingentati e quindi l’ abbassamento del numero di pubblico da poter ospitare nei teatri, provocherà per quegli spazi non sostenuti un’ impossibilità evidente a sopportare i costi di una programmazione e quindi, da una parte tutti subiranno una riduzione della proposta e una perdita di entrate, dall’altra alcuni, è evidente, verranno costretti alla chiusura, con una perdita enorme dal punto di vista culturale per il nostro paese.
Questo quadro, numeri alla mano, avrà una ricaduta terribile nel settore dei lavoratori, artisti e tecnici, che oltre a non riuscire a maturare giornate lavorative sufficienti in alcuni casi non potranno proprio più svolgere il proprio mestiere, rimanendo senza aiuti dallo stato per altro. Un dramma annunciato. Un azzardo. Quando analizziamo quanto è successo da febbraio ad oggi,viene da riflettere. Se infatti il settore dello spettacolo è stato tra i primi a subire lo stop, di logica verrebbe da dire, dovrebbe essere l’ultimo. Ma come può un governo accettare di non far ripartire una macchina che conta più di 300.000 lavoratori? Dovrebbe sostenerli? Dovrebbe sostenere le imprese? I teatri? Io credo di si.
I fatti stanno così, questa ripartenza per il settore dello spettacolo che ricordiamolo a gran voce, vive di socializzazione, di rapporti umani e quindi di pubblico e presenze attive, sarà devastante. Il patrimonio culturale del nostro paese fatto di spazi e personale artistico e tecnico verrà compromesso. L’aspetto più sociale delle arti, legato ai territori, alle piccole comunità, alla scuola, sarà compromesso in alcuni casi in modo irrimediabile, lasciando molte famiglie in gravi condizioni economiche. Perciò, citando il collega Simone Faloppa attore e referente del  movimento Nazionale Attori e attrici Uniti, “la chiave per la ripartenza non è una; ma sta in tante, piccole ripartenze territoriali, scaglionate, per le quali servono PER TUTTI criteri strutturali, cura, facilitazioni e sgravi DIVERSI; perché non partiamo e giochiamo tutti allo stesso livello. E questo chiama in causa il senso di responsabilità, innanzitutto, dei teatri a finanziamento pubblico, per storia, tradizione ed eccellenza.”
Edurado diceva:”In qualunque mestiere, in qualunque professione è bene tenere conto di questo: chi lavora egoisticamente non arriva a niente. Chi lavora altruisticamente se lo ritrova, il lavoro fatto.“ Il ministero ha messo, dal suo punto di vista, in sicurezza i suoi teatri, assicurando come detto l’erogazione delle sovvenzioni anche con solo una minima attività svolta, trascurando completamente i due elementi essenziali di ogni attività teatrale: gli spettatori e i teatranti. Questa pandemia ha prosciugato la palude, facendo venire a galla gli scheletri sommersi, la visione di questi avrebbe dovuto scatenare un movimento politico-culturale di ricostruzione, implementazione e innovazione dell’intero settore con una discussione aperta, condivisa e tecnica del nostro governo con le parti in causa. Invece questo orrore sociale, ha prodotto un immediato insabbiamento, una corsa ai ripari per nascondere nel minor tempo possibile tutto , illudendo il pubblico che “tutto andrà bene”, facendo quello che, ahimè ci si aspettava al grido “Armiamoci e partite!”.
Ma al danno si aggiunge anche la beffa, dal 20 giugno infatti, sarà consentito giocare una partita di calcio mentre nella stessa data su un palco degli attori o dei musicisti dovranno lavorare ad un metro di distanza. Questa estate in pratica non sarà consentito a degli attori di stringersi la mano sul palco ma sarà consentito ai calciatori ogni scontro di gioco. Che spettacoli vedremo quindi? Come già detto molti monologhi, o letture o assoli di danza o chissà quale altra proposta condizionata.
E’ evidente che molti giovani attori,piccole compagnie indipendenti,per non parlare del teatro per l’infanzia e la gioventù, di tutto quel teatro “sociale” che opera nelle scuole, nelle strutture di comunità, nei contesti disagiati, tutti i teatranti che fanno formazione non avranno i luoghi e le condizioni per lavorare e le persone che traggono giovamento da tali attività educative , socializzanti, inclusive, e terapeutiche , rimarranno senza una parte importante ed integrante della loro vita.Molti cartelloni verranno ridotti o cancellati, lasciando spazio a pochi nomi conosciuti, pagati da chi se li può permettere, che si spera possano quanto meno riempire i pochi posti disponibili. E’ un ottima cosa mantenere in vita i teatri certo, ma a patto che questi mantengano in vita il teatro, motivo per il quale esistono. 
Quella che ci aspetta sarà una falsa partenza, rischiosa e azzardata, che potrebbe far sprofondare il settore definitivamente. Pertanto come la regola insegna, una falsa partenza va ripetuta, quindi, rivista e discussa davvero con le parti in causa: politica, operatori, direttori, ma soprattutto lavoratori.Vanno pensate insieme strategie che siano il più inclusive possibili, vanno forse rilanciati i repertori, evitando di continuare a produrre senza criterio ma dando spazio e tempo a lavori già pronti e rodati; và forse pensato uno scenario di ripartenze e proposte che possa tenere conto dei territori e dei circuiti regionali per contenere i costi e gestire l’offerta, costruendo cartelloni in sinergia con le compagnie professionali, gli artisti e le maestranze di quei luoghi, mettendo in rete competenze, spazi, idee ma soprattutto risorse, per aiutare tutto il comparto a superare non l’estate, ma l’inverno del nostro scontento, ormai alle porte.

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